Al suono dei Coldplay, ieri sera si è conclusa la competizione paralimpica di Londra 2012. E’ stata sicuramente un’edizione straordinaria, per numero di partecipanti e seguito, sia negli impianti che attraverso l’etere. Merito del pubblico inglese e delle televisioni che hanno dato egual spazio alle Paralimpiadi dopo le Olimpiadi (forse con la sola eccezione della RAI).
Centra poco o niente con gli argomenti che si trattano di solito in questo blog, ma sentire alcune affermazioni come quelle di Paolo Villaggio (“paralimpiadi uno spettacolo triste”) fa salire una certa rabbia in ogni persona dotata di un poco di senno. Per cui voglio ricordare che la spedizione italiana ha raccolto 28 medaglie complessive, pareggiando il conto del bottino olipico agostano. Ma con una compagine decisamente ridotta: i paratleti che hanno composto la squadra italiana sono circa 100 (il numero dipende dal fatto che si contino anche le guide o meno), mentre la squadra olimpica era di 283 elementi. Certo si obietterà che la concorrenza era meno folta, ma almeno in parte questo dato può essere compensato dal minor numero di discipline.
Mi è piaciuto vedere l’ardore agonistico della squadra di basket in carrozzina femminile dell’Australia, che ha giocato più che sporco per vincere contro le allora campionesse in carica americane. Erano i quarti di finale e non sono mancate gomitate, colpi proibiti e ingiurie. Ma è stato bello anche il commento della dirigenza della nostra squadra maschile (avrete capito che mi piace la pallacanestro…). Uscita malamente, la sua paralimpiade è stata vissuta con il rammarico che ci si aspetterebbe da una buona squadra di normodotati che esce da una competizione internazionale.
Poi ci sono state le storie di chi ha una voglia di vincere che fa spavento. Facile pensare a Zanardi, ma atleti come Cecilia Camellini (2 ori e altrettanti bronzi) o Martina Caironi (oro nei cento e record del mondo). E spostando lo sguardo fuori da casa nostra, uno come l’americano Raymond Martin (4 ori in pista) è una storia che vale il biglietto.
Credo che se Villaggio, e tutti quelli che la pensano come lui, avesse guardato davvero anche solo una gara di queste paralimpiadi, avrebbe visto che nei giochi paralimpici non c’è spazio per la pietà o la tristezza. C’è la stessa voglia di competere delle Olimpiadi o del Sei Nazioni di Rugby, piuttosto che di qualsiasi altra manifestazione sportiva. E’ semplicemente sport. (marco boscolo)