Nel giugno 2012 un reporter del Courrier des Balkans, Florentin Cassonet, ha marciato insieme al corteo che per ricordare Vidovdan – l’epica battaglia di Kosovo del 1389 – ha compiuto una marcia da Belgrado a Gazimestan. 350 chilometri in poco meno di due settimane, che ci permettono di scoprire qualcosa di più della galassia della destra nazionalista Serba. La prima parte del suo racconto.
Durante la marcia di Vidovdan, organizzata dal “Movimento 1389”, 25 persone hanno camminato per più di 350 chilometri, da Belgrado fino a Gazimestan, nel Kosovo. Il gruppo è un campione abbastanza rappresentativo di quelli che sono i circoli nazionalisti Serbi: tra di essi, possiamo trovare credenti, tifosi, Serbi “normali” …
“Non so cosa mi prende, ma ho proprio voglia di bruciare delle moschee!”, scandiscono forte, una volta giunti in Kosovo, prima di essere fermati dal capo della marcia. Cinque hooligans accompagnano il gruppo di pellegrini di Vidovdan: di tanto in tanto si lasciano andare ai canti più volenti del loro repertorio, quelli che si rivolgono a Musulmani, Croati, Albanesi ed Omosessuali.
Filip, 23 anni, si è fatto tatuare in corsivo la parola “Hooligan” su un bicipite. Marko, 26 anni, sfoggia il nome del proprio gruppo, “Despoti”, scritto sulla parte interna della gamba sinistra. Dragan, 25 anni, ha una spessa croce in legno che gli pende sul busto nudo, e un buon numero di cicatrici sul corpo. Questi tre giovanotti fanno parte del gruppo di hooligans di Smederevo, una città industriale della Serbia Centrale. Il 17 febbraio 2008, quando il Kosovo dichiarò la propria indipendenza, abbandonarono tutti e tre il corteo di manifestanti che a Belgrado si dirigeva dalla Basilica di San Sava al parlamento, per partecipare alle violenze davanti all’ambasciata americana. Nell’ottobre 2010 due di loro, Dragan e Marko, attaccarono la polizia durante il Gay Pride, manifestazione che si concluse con la messa a ferro e fuoco della capitale.
Alle prime luci dell’alba del 25 giugno, a Leposavić, nel nord del Kosovo, il muro del liceo dove i pellegrini hanno trovato rifugio per la notte è già ricoperto di scritte fresche fresche. Gli hooligans hanno fatto il loro lavoro durante la notte: nessuno ha visto nulla, però il gruppo non è del tutto innocente. La vigilia, a Raška, Rade – il capo della spedizione – aveva persino dato un po’ di denaro a Marko perché comprasse delle bombolette di vernice.
Niente alcol e tutti a messa.
Rade Ljubičić fa fatica a controllare il terzetto. Il capo del Movimento 1389 organizza il pellegrinaggio dal 2006. Ha cofondato il Movimento nel 2004, dopo qualche anno trascorso militando nel Partito Radicale di Vojislav Šešelj. Non ha l’aria di amare questi hooligans. E del resto, il sentimento è reciproco. Marko se la prende con la disciplina e le regole troppo severe. In particolare, con il divieto di consumare alcool durante la camminata. C’è da dire che a più riprese la regola viene infranta: Rade si spende in prediche contro chi “disturba la quiete”, loro lo ricambiano insultandolo non appena gira la schiena.
Rade è convinto che questa disciplina serva loro ad essere educati attraverso altri valori, che non siano esclusivamente quelli della curva di uno stadio. E’, del resto, uno degli argomenti con cui giustifica la presenza degli hooligans, dei quali non conosce nemmeno la biografia. Altrimenti, concluderebbe che non sono esattamente dei tipi facili da mettere in riga.
Dragan, ad esempio. E’ diventato capo degli Hooligans di Smederevo quando il suo superiore è stato arrestato per traffico d’eroina. Conosce la prigione e gode di grande stima, per non aver mai parlato durante le sedute di interrogatorio della polizia, quando era ancora minorenne. Ma allo stesso tempo segue con serietà la messa quotidiana, anche quando questa dura un’ora e mezza, perché la religione e la Chiesa gli paiono cose importanti. Naturalmente, si sente in competizione con Rade per la leadership del gruppo. Gli è stato detto, come a Marko e a Filip, di non tornare il prossimo anno.
Rade sa bene che ne verranno degli altri, perché il “Movimento 1389” e gli Hooligans serbi fanno parte dello stesso milieu ideologico. E gli hooligans, anche se spesso mettono il movimento in cattiva luce, ne sono anche i rappresentanti più attivi. “Senza di noi, niente slogan, niente canti, niente atmosfera. Nessuno scriverebbe sui muri per dimostrare che esistiamo”. Filip ha una coscienza precisa della propria utilità. Ma sembra non accorgersi del fatto che essi stessi vengono strumentalizzati.
Rade rinfaccia agli Hooligans di gettare discredito addosso al movimento. Non se la prende direttamente con il trio, ma con quelli che lui chiama “gli hooligans alcolizzati”. Tra di loro, c’è Miša Vačić. Qualche anno fa, venne espulso dal “Movimento 1389” con degli altri elementi a causa della loro fedina penale, e delle loro frequentazioni criminali. Tuttavia, durante la prima marcia di Vidovdan nel 2006, marciarono fianco a fianco: il divorzio tra i due fu anche una questione di ambizione personale.
Il “Vero” e il “Falso” 1389 …
Dopo la frattura, Miša Vačić ha creato il proprio movimento 1389 (SNP 1389), omonimo di quello di Rade Ljubičić, con la sua propria marcia di Vidovdan. I due gruppi nazionalisti, che difendono pressapoco le stesse idee e gli stessi principi, fanno molta attenzione a non incrociarsi per strada: nel 2010 la rivalità degenerò in rissa. L’acrimonia tra i due si è spinta a tal punto che Rade, per poter essere l’unico a sfruttare una sigla così significativa per il popolo Serbo, l’ha registrata ed ora è protetta da copyright. Accusa il “falso 1389” d’essere un usurpatore ed i media di “confondere le acque” di proposito: quando il “falso 1389” commette degli atti illegali, è il suo movimento ad essere accusato.
Per Rade, il miglior modo di screditare il rivale è di dipingerlo come il cavallo di troia di un complotto internazionale: “Sono le ambasciate dei governi occidentali che hanno incoraggiato Vačić a fondare il ‘Falso 1389’ promettendogli l’impunità se commette atti illegali con il nostro nome”.
Un quadro surrealista, capace di illustrare efficacemente la relazione a doppio taglio tra organizzazioni nazionaliste serbe ed hooligans. “Condividono le nostre idee”, ammette Rade. “L’organizzazione non è poi così importante. Ciò che conta è l’idea, il supporto sociale che c’è dietro”. Rade minimizza, cerca di “ripulire” il proprio movimento dal sospetto di connivenza con gli hooligans: ma nel frattempo, continua a servirsi della loro forza d’urto.
(Fine parte I – continua).