Una volta un amico ingegnere di ritorno da un viaggio in Bolivia mi disse che a La Paz c’erano feti di lama dappertutto. Rinsecchiti, imbalsamati, impagliati, in vendita.
Effettivamente, è vero. Te li tirano dietro dovunque, ad ogni angolo – in fondo perché ad ogni angolo si vende qualcosa, in questa favolosa bolgia che altro non è che un grande mercato a cielo aperto.
Incuriosito, chiesi al mio amico quale sia l’utilità dei feti di lama, esposti nelle bancarelle accanto ad ali di fenicottero, armadilli, stelle marine o rospi imbalsamati (per davvero: è possibile acquistarli tutti al Mercato delle Streghe. Ovviamente).
“In Bolivia, quando costruisci un ponte o una casa, fai un gran fosso per le fondamenta. Lì dentro, a mo’ di buon auspicio, ci deponi il feto di lama. Meglio quattro, uno per ogni angolo,” la sua risposta, come se fosse la cosa più normale del mondo. Nulla di strano: in Italia, infatti, è ancora tradizione gettare qualche moneta o qualche santino nel buco, prima di costruirci su.
In Bolivia, il feto di lama scaccia il malocchio, così come il pasciuto maiale attrae ricchezza o la saggia pecora aiuta a risolvere simbolicamente tutte le dispute. Gatto e cane, quando (litigano) in coppia, sono invece buon augurio affinché una donna abbandonata ritrovi il marito perduto. Il naso di volpe, invece, si appende al collo per combattere la nostalgia di un caro defunto.
Legate ai tradizionali metodi di cura popolare, le cholitas boliviane (che vestono ancora il vestitone della tradizione coloniale, colorato e con tanto di bombetta in testa e trecce a spiovere dal cappello) fanno la fila fuori dai maestros curanderos y consejeros, quelli che possono risolvere tutti i problemi della vita.
— non posso non pensare alla mia infanzia, nella provincia di Caltanissetta e Agrigento, e a quei manifesti incollati sotto i cavalcavia delle strade provinciali con il numero di telefono del santone che legge i tarocchi —
Sulla brace, nelle case dei maestros curanderos, si consuma ardendo il feto di lama, il fuoco mangia il corpicciuolo rinsecchito e nella casa-negozio si spande il fumo sacro. I resti (simbolo di purezza e tenerezza) sono poi sotterrati in una cerimonia ‘di reciprocità’ chiamata challa, in cui si dà da bere e da mangiare alla Madre Terra, la Vergine Pachamama. Patate cotte, sigarette, foglie di coca e alcol, mentre tutt’intorno l’aria si riempie di canti e balli e scoppietta di petardi.
Il periodo più favorevole è al volgere della primavera, in agosto, mese in cui la terra si apre per ricevere le offerte dei suoi figli.
“La gente comune, in Bolivia, vive un rapporto strettissimo con la propria terra e con la propria cucina, a loro volta legate indissolubilmente:” se a Cochabamba non può mancare il tradizionale Chajchu, piatto a base di carne fritta di agnello, durante il rituale a La Paz si serve il Puchero, una zuppa che contiene una varietà di carni, ceci, cavolo, mais, legumi, patate e spruzzate di salsa piccante di cipolla.
E’ un cristianesimo ruspante, “poco ortodosso, un culto sincretico in cui si mescolano ritualità cattolica e tradizioni ancestrali, santi cristiani e divinità pagane, messe e pratiche magiche, processioni e danze.”
Ma a volte la spiritualità scolorisce, si offusca, si ricopre di una patina di pacchianeria. L’aura mistica che aleggia sopra l’ex capitale boliviana è stuprata dalle agenzie di viaggio che offrono tour spirituali in sconto a base di san Pedro, il potente allucinogeno da consumarsi sull’altopiano che conduce al Lago Titicaca, culla della civiltà.
Mentre si acquista il feto di lama da portare come soprammobile alla zia, ci si può imbattere nel cartello dell’agenzia di viaggio affianco: “today we will experience a Total Solar Eclipse and by the guidance of Jorge Luis Delgado and Alorah a Ceremony will be hold at the Dimensional Door of Lord Aramu Muru – (god Meru)…”
La mistica diventa sballo, e si paga profumatamente – rigorosamente in dollari. Ma in fondo La Paz – e la Bolivia tutta – è anche questo, non c’è che da accettarlo.
Una terra benedetta e dannata dalla propria povertà, negli anni avvizzita come un fetuzzo di lama dall’uomo bianco conquistatore, con moschetto o macchina fotografica in mano; una terra che, tuttavia, conserva in un certo qual modo quelle sue originarie qualità di purezza e tenerezza. Nel XXI secolo, fa tutto brodo per arrivare a fine mese, e allora ben venga.