È un Bersani in bianco e nero quello che parla da Bettola. Identico a quello che campeggiava sui poster del PD in una campagna di qualche tempo fa o al suo personaggio della serie tv Gli sgommati.
Con Renzi che occupa la dimensione del presente (Adesso!) e un Vendola che si mette nell’angolo da solo, Bersani aveva due possibilità: o raccontare il futuro o raccontare il passato.
Il segretario sceglie il passato, la vena nostalgica, l’Italia vera contrapposta a quella delle favole e dei format del suo avversario. Ne viene fuori un discorso a tratti bello, sicuramente emozionante, capace di toccare la pancia della base.
Sul piano strategico però la scelta di Bersani sancisce ancora una volta il suo arrancare all’inseguimento di Renzi. Gioca di rimessa, costruisce una narrazione in negazione di quella dell’avversario, ne accetta gli schemi discorsivi e linguistici, gli assi valoriali. Non cerca nemmeno di riprogrammare il frame del sindaco di Firenze ma lo subisce, vi rimane ingabbiato tanto da farlo divenire dominante.
Uno dei meriti comunicativi di Renzi è di aver proposto fin dall’inizio una struttura narrativa coerente di cui ha saputo essere l’eroe: il giovane competente ma cool, deciso a rompere gli schemi, liberare spazi per una nuova generazione, mandare a casa il vecchio. Un eroe determinato ad affrontare una serie di prove valorizzanti: la sfida allo stato maggiore del partito, la candidatura alle primarie, la campagna, eventuale, a premier. I buoni, aiutanti dell’eroe, sono quelli che credono in questo cambiamento. I cattivi tutti gli altri.
Uno schema imperniato su un concetto chiave, rottamare, ago della bilancia di una contrapposizione semantica e valoriale tra vecchio e nuovo.
Il Bersani di Bettola non risolve questa contrapposizione, non la supera, anzi la accentua inasprendone i contorni e il contrasto.
Punta sul concetto di radici, forte ed evocativo ma statico e immobile, alle infografiche preferisce le foto in bianco e nero insieme al padre, ai format all’americana un comizio come non se ne vedono più, alla storia collettiva di un’intera generazione che scalpita preferisce la sua rassicurante storia personale, riproposizione più sobria di un’altra storia italiana di qualche anno fa. Parlare alla base non è una giustificazione: il PD può permettersi di ricondurre queste primarie al proprio ombelico? Mentre si consuma lo scontro interno c’è un intero Paese che sta a guardare e, soprattutto, si aspetta delle risposte.
In fondo è dai tempi della Leopolda che Renzi guida e Bersani e i bersaniani inseguono, ovvero da quando la parola rottamare è diventata quella più usata nel PD, citata abbondantemente proprio dai “rottamati”, ignari che ad ogni citazione facevano segnare un punto al proprio avversario.
Il frame di Renzi ha una sua forza comunicativa perché si inserisce in un momento storico in cui l’istanza di cambiamento è particolarmente forte, non solo in senso verticale (vecchi-giovani) ma anche orizzontale (competenza-incompetenza, dinamismo vs immobilismo ecc.). Non a caso gli scandali hanno fornito l’assist al sindaco per allargare e rinsaldare il proprio frame, mettendo il (seppur giovane) Fiorito di turno fra quelli da rottamare.
Di fronte alla narrazione renziana Bersani e ancor più i bersaniani, o meglio, gli anti-renziani, hanno avuto il limite di accettarne fin da subito la cornice comunicativa. Potevano delegittimarlo, ignorarlo, rilanciare. Invece hanno scatenato un fuoco incrociato utilizzando gli schemi concettuali del sindaco di Firenze, le sue categorie semantiche, le sue parole. Non dire rottamare doveva essere la regola. E invece giù a testa bassa senza capire che più lo attaccavano più lo legittimavano, polarizzando lo scontro e spingendo le truppe, e soprattutto i cittadini, a schierarsi.
Chi andrà a votare Renzi non lo farà pensando alla contrapposizione destra/sinistra ma a quella vecchio/nuovo. Perché è l’antiberlusconismo di certi pezzi del PD a fare di Renzi un berlusconiano, non i format di Gori.
Checché ne pensino i comunicatori, ha detto Bersani a Bettola. Eppure se queste primarie, per la prima volta, sono una sfida davvero aperta è dipeso dalla (sbagliata o indovinata) strategia comunicativa. Intanto il 25 novembre si vota. Di programmi per il futuro nemmeno l’ombra.