Avvertenza: chi di Bersani è soddisfatto e compiaciuto e chi, più prosaicamente, è in fila per un posto al banchetto, risparmi tempo e bile e non legga questa veloce colonna. Che sarà, temiamo, molto meno paludata del solito.
Confessiamo che delle primarie del Partito Democratico, o del centrosinistra: ma la cosa è poco o punto chiara, non avevamo molto interesse.
Da oggi, invece, tornano buone per fornire una spiegazione che va ben oltre, ci pare, delle modeste disfide elettorali. Una spiegazione a cavallo tra la storia, la cultura politica e l’antropologia.
La notizia è che nell’imminenza della competizione, e quando una prima terna di candidati si è dimostrata disponibile a partecipare (Vendola, Bersani e Renzi), le regole di gara verranno ritoccate, con l’introduzione del doppio turno e l’albo degli iscritti, con l’evidente scopo di farne una competizione meno aperta.
Ora, nostri cari lettori, dovete comprendere che in molta parte della cultura italiana, ed in particolare in quella di sinistra, il calco del determinismo e di un certo mal inteso storicismo si avverte ancora. Quella che il filosofo liberale Popper biasimava come miseria dello storicismo.
Così, la storia dell’umana specie è già bella che scritta, e noi staremmo solo sfogliando le pagine del Grande libro della vita. Nel paragrafo, speriamo modesto e stringato, dedicato alle prossime elezioni politiche, il verbo è assai chiaro. Ha da vincere la sinistra, tocca a lei. E siccome, c’è sempre scritto, è il turno di Bersani, questi deve essere il Presidente del Consiglio.
Questa è la normalità invocata non più tardi di ieri dal segretario del PD per respingere l’idea di un qualche Monti bis.
Anche se a noi vecchi elefanti, quella invocazione alla normalità, ha fatto riemergere alla memoria la mitologia del paese normale in salsa dalemiana, facendoci sbottare in un cautelativo: teniamoci l’anormalità, tutta.
Chiunque contesti o rischi di frapporre qualche ostacolo al corso della storia è un reazionario. Magari un fascista. O un populista demagogo.
Che possa avere un’idea diversa della politica o dell’economia non si ammette nemmeno come ipotesi di scuola.
Perché, visto che la proposta di modifica ha le impronte digitali di una manovra anti-Renzi, se la candidatura di Renzi ha un qualche significato politico, questo deve essere individuato nella consapevolezza che uno dei temi della prossima campagna elettorale sarà proprio il rinnovamento della classe dirigente e della classe politica.
Rinnovamento, certo, che non passa tramite le sole carte d’identità, ma impone qualche idea un po’ più nuova di quelle che girano per i corridoi della segreteria politica del PD (tipo: Cassa Depositi e Prestiti novella IRI cui ammicca il responsabile economico del PD Fassina, tanto per intenderci).
E pure su questo fronte il famigerato renzismo qualcosetta avrebbe pure da consigliare, tanto da soddisfare un palato fine come quello del Senatore Ichino, col quale di norma pure noi condividiamo buona parte del menù.
Le fiammate elettorali del grillismo, e la sempre più invincibile indolenza degli astensionisti, qualcosa dovrebbero pur dire a chi rivendica, come politico professionale, il dono della capacità di lettura del sentimento popolare.
Nulla di questo, par di capire.
Prima si rispolvera il frusto motto di René Renoult “pas d’ennemis à gauche”, nessun nemico a sinistra, e si imbarca Vendola nel fronte dei progressisti.
Poi, temendo che Vendola faccia come Pisapia a Milano, si impongono le elezioni primarie col doppio turno, in modo da garantire che le truppe cammellate delle primarie siano condotte a scegliere come vogliono al primo turno ma che si impegnino a sostenere il candidato di sinistra (Bersani) al ballottaggio contro il diversamente democratico Renzi.
Qualcuno si è preso la briga di scomodare le vecchie pratiche dello stalinismo.
Non siamo d’accordo: basta andarsi a rileggere le pagine di George Orwell in cui si tratteggia il maneggio della neolingua democratica rivoluzionaria e si avverte il lettore a saper distinguere tra il nome e la sostanza delle cose. Perché siamo tristemente fermi alla Magna Charta de la Fattoria degli Animali: la legge è uguale per tutti, ma per qualcuno è più uguale degli altri.
E se proprio qualcuno si deve scomodare, forse è meglio ricordare quel che diceva un vecchio dirigente migliorista del PCI, Bufalini: il PCI funziona per cooptazione. Un gruppo di dirigenti coopta al suo interno un nuovo dirigente un po’ più stupido di quelli esistenti. Prima o poi, diceva Bufalini, si scende così in basso che per forza di cose se ne sceglie uno più intelligente.
Non vogliamo far torto a nessuno, ma ancora non abbiamo compreso a che livello della selezione ci troviamo.
Se le riformate regole delle primarie accettassero proposte di emendamento, noi ne vorremmo formulare uno semplice semplice: si scriva il regolamento come si vuole. Con o senza doppio turno, col metodo d’Hondt o con qualche altra sofisticheria buona per gli scienziati della politologia. E si inserisca, infondo, prima delle norme transitorie, il seguente articolo “Fermi i risultati ottenuti con la votazione, svolta in conformità con quanto disciplinato dal presente regolamento, il candidato Presidente del Consiglio sarà individuato nella persona del segretario politico in carica, sempre che questo sia di gradimento della segreteria politica in carica”.
Non temano gli antiberlusconiani in servizio permanente: non si tratterebbe di una legge ad personam, ma ad segretarium, mantenendo il carattere di norma generale ed astratta, come piace a noi cavillosi giuristi garantisti.
Nessuna persona che abbia rispetto del proprio tempo, e magari della propria intelligenza, prenderebbe parte ad una competizione falsata.
E cambiare le regole in corsa perché favoriscano un risultato piuttosto che un altro vuol dire falsare una competizione.
Ci dispiace non perché avessimo voglia di partecipare. Anzi. Ma perché da liberali alle regole ed alla competizione siamo geneticamente legati.
E forse, al fondo, ci spiace che dalle prossime primarie debba per forza uscire un nostro avversario.