Fatti di ScienzaDigital Public Library of America: neo-Illuminismo o neo-colonialismo a stelle e strisce?

L'aula magna della Scuola Superiore per Interpreti e Traduttori di Trieste è presto conquistata dai modi impeccabili di Robert Darnton, il direttore della biblioteca dell'Università di Harvard. Il ...

L’aula magna della Scuola Superiore per Interpreti e Traduttori di Trieste è presto conquistata dai modi impeccabili di Robert Darnton, il direttore della biblioteca dell’Università di Harvard. Il suo discorso è in impeccabile equilibrio tra contenuto, ironia e qualche battuta per rilassare l’atmosfera. Darnton è venuto dagli Stati Uniti per presentare la Digital Public Library of America a TriesteNext, l’evento che ha voluto il sindaco Cosolini per mettere in dialogo territorio, imprenditoria, ricerca e innovazione.

“Sentiamo sempre più spesso parlare della morte del libro”, attacca Darnton, mentre lo schermo mostra cancellate, muri e inferraite che difendono biblioteche di mezzo mondo, “ma i libri sono più importanti che mai e lo saranno anche in futuro se noi sapremo indirizzarlo nel modo giusto”. L’idea che è nata in seno a una delle istituzioni per la formazione più venerate al mondo è quella di costruire una sorta di “biblioteca delle biblioteche”, mettendo a disposizione di “tutti i cittadini americani e di tutti coloro che vorranno accedervi” i saperi che le biblioteche racchiudono. In poche parole, la Digital Public Library of America è un enorme progetto di digitalizzazione dei patrimoni librari, a cominciare da quello di Harvard, per renderli accessibili liberamente e gratuitamente online.

L’idea echeggia, per stessa amissione di Darnton, quella di Denis Diderot e della sua Enciclopedia dell’epoca dei Lumi, ma “su di una scala che il filosofo francesce non poteva nemmeno immaginare”. In uno spirito davvero illuminista, Darnton domanda se “biblioteche e altre collezioni non debbano essere considerati dei veri e propri asset nazionali e internazionali che devono essere mantenuti e preservati nel public interest“? Un’idea di gran moda, pur con diverse sfumature, in molti ambienti che spingono all’open access, soprattutto quando si tratta del sapere frutto di ricerca pagata con danari pubblici (basti ricordare la vicenda Occupy Elsevier di cui abbiamo già detto e le reazioni del Research Council UK).

Come funzionerà quest’iniziativa? “Dal prossimo aprile sarà online il primo constributo dalla DPLA dell’Università di Harvard”, racconta Darnton. “Si tratta dell’opera completa di Emily Dickinson corredata dalla scannerizzazione di tutti i testi autografi che la biblioteca dell’università dispone”. Un patrimonio unico conservato ad Harvard e reso per la prima volta accessibile al mondo intero gratuitamente e senza doversi recare nella cittadina del Massachussetts. “Inviatiamo tutte le istituzioni e le biblioteche che già dispongono di repertori di questo tipo a renderli disponibili all’interno della DPLA, semplicemente diventandone parte”.

Ecco, qui sta uno dei punti controversi dell’iniziativa della DPLA. L’idea di costruire una sorta di biblioteca omnicomprensiva che permetta il dialogo tra tutti i saperi e i repertori del mondo è affascinante, ma perché dovrebbe essere una biblioteca pubblica americana? L’open access sarà garantito, per fortuna, anche ai non cittadini americani e, per fortuna ancora, non c’è una volontà di portare tutti i repertori sul territorio o un server americano. Ciononostante non si capisce perché questa iniziativa non abbia potuto semplicemente chiamarsi Digital Public Library: non avrebbe tolto un briciolo al valore dell’iniziativa. Non è questione di voler alimentare un sentimento anti-americano, che per altro non condivido, ma se deve essere open access, open knowledge che sia anche senza il “marchio” di alcuno. (marco boscolo)

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