Storie dell’altro mondoFame e rivoluzioni

Sappiamo ormai che c’è una relazione tra quanto accaduto nelle pianure del Midwest americano, nelle distese di campi bruciati dalla peggiore siccità degli ultimi anni, e i prezzi dei cereali saliti...

Sappiamo ormai che c’è una relazione tra quanto accaduto nelle pianure del Midwest americano, nelle distese di campi bruciati dalla peggiore siccità degli ultimi anni, e i prezzi dei cereali saliti alle stelle, che spingono alla fame intere popolazioni. Meno conosciuto è il legame, purtroppo ormai dimostrato, tra l’aumento dei prezzi del cibo e le rivoluzioni, che spesso finiscono in una spirale di violenza ingovernabile, con gravi ripercussioni sugli equilibri geopolitici.

Lo abbiamo visto lo scorso anno con le sommosse in Tunisia che hanno dato il via alla Primavera araba. E ne abbiamo avuto prova con la crisi alimentare del 2008, quando teatro delle violenze sono stati numerosi paesi africani.
Una rivoluzione certo ha molteplici cause: ingiustizia sociale, assenza di diritti politici, disoccupazione e povertà, ma il fattore scatenante – e in questi giorni uno studio lo dimostra – è l’impennata dei prezzi che rende la vita insostenibile per le fasce più deboli della popolazione.

Se pensiamo che per ogni punto percentuale di aumento del prezzo del cibo 16 milioni di persone precipitano nella povertà, non è difficile prevedere che il prossimo sarà un autunno piuttosto caldo in molte zone del mondo.
Oggi il prezzo del grano ha superato quello che scatenò le rivolte del 2008 in Nord Africa e basta davvero una piccola scintilla perché la rivoluzione esploda.

La buona notizia è che questa scintilla si può spegnere. Come fare? Occorre in primis fermare la produzione dei biocarburanti, che sottraggono terra e risorse all’alimentazione. E sono corresponsabili dell’aumento dei prezzi. Entro il 2020 la domanda di biocarburanti potrebbe far aumentare i prezzi di alcuni alimenti fino al 36%, con un impatto gravissimo sui consumatori di tutto il mondo ma soprattutto sui più poveri, che spendono fino al 75% del loro reddito per l’acquisto di cibo.
Il secondo rimedio consiste nel fermare le speculazioni sui beni alimentari, che contribuiscono all’incremento dei prezzi. Oltre l’80% delle esportazioni dei cereali più importanti provengono da cinque paesi e sono controllate da quattro multinazionali. Questo rende molto vulnerabili i mercati internazionali, e anche una minima variazione ha effetti disastrosi su quei paesi costretti a importare quasi tutto il grano di cui hanno bisogno, come lo Yemen.

Il Comitato sulla sicurezza alimentare mondiale, riunitosi in questi giorni a Roma, ha l’arduo compito di fronteggiare un aumento anormale dei prezzi degli alimenti di base e stimolare la risposta di governi e istituzioni al problema della fame. Un “problema” che mette a repentaglio la vita di 870 milioni di persone, più della popolazione degli Stati Uniti, del Canada e dell’Europa messi insieme. I progressi fatti fin’ora si sono fermati, e gli effetti del cambiamento climatico, se non saranno presi urgentemente provvedimenti, peggioreranno la situazione di tanti paesi. La siccità e le alluvioni nell’Africa del sud potrebbero far aumentare il prezzo di vendita di mais e di altri cereali grezzi fino al 120%.

Anna Pasquale

Oxfam Italia

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