Un po’ di sano copia&incolla (articolo originale in russo su Izvestia pubblicato in italiano su Russia Oggi, link in basso):
“La storia delle elezioni del sindaco di Khimki si avvia alla sua logica conclusione. Alle amministrative del 14 ottobre 2012 il favorito Oleg Shakhov, facente funzione del sindaco, ha vinto con il 47,6 per cento dei voti. La sua rivale più vicina, la principale attivista dell’epocale lotta per il bosco di Khimki, Evgenija Chirikova si è fermata al 17,6 per cento (dati aggiornati dopo il 14 ottobre 2012, ndr). E se per gli altri partecipanti alla gara non è un risultato catastrofico, per la reputazione politica della Chirikova invece può risultare rovinoso.
Il fatto è che, a differenza degli altri politici dell’opposizione, la Chirikova è stata innanzitutto la rappresentante di un movimento regionale, un movimento che per giunta si batteva per la soluzione di un problema assai specifico e locale come quello della difesa del bosco di Khimki. E in difesa di questo bosco sono pochi quelli che non si sono ancora pronunciati: conduttori televisivi amanti degli scandali, venerabili funzionari, e persino qualche rockstar straniera. Per un certo periodo è sembrato quasi che il destino politico del Paese dovesse decidersi nel bosco di Khimki.
Ora si è capito che la questione del bosco di Khimki in realtà celava in sé una serie di problemi completamente diversi, alcuni dei quali erano in effetti vicini e comprensibili agli abitanti di Khimki; altri invece erano di difficile comprensione per loro, e di altri ancora i cittadini non sospettavano nemmeno l’esistenza. Sopra tutto vi era un chiaro malcontento della popolazione verso il precedente sindaco, la cui politica poco trasparente era caratterizzata da legami oscuri e accompagnata da azioni di forza, organizzate non si sa da chi, contro i giornalisti e gli attivisti verdi. Ma questo problema lo ha già risolto per gli abitanti di Khimki il governatore della provincia di Mosca, Sergej Shojgu, assai stimato in Russia. Shojgu ha mandato in pensione il precedente sindaco Vladimir Strelchenko e ha messo al suo posto una persona di sua fiducia.
A fare da sfondo a questa storia c’era la prospettiva di fermare un progetto imponente, la costruzione dell’autostrada Mosca-San Pietroburgo, per iniziativa dei rappresentanti della società civile. Questa prospettiva in effetti aveva suscitato un certo entusiasmo, ma per quanto possa sembrare strano la Chirikova non è riuscita a sfruttare appieno in senso politico la questione, che per molti osservatori è rimasta puramente privata. In particolare, si sono meravigliati del suo approccio al problema gli automobilisti moscoviti che si scontrano ogni giorno con gli incolonnamenti sul Leningradskoe Shosse in uscita dalla capitale.
Infine, il risvolto più esoterico della questione del bosco di Khimki negli anni 2010-2011 è stata la manifesta speranza da parte di alcune forze influenti di poterla sfruttare per scatenare un conflitto tra l’entourage di Dmitri Medvedev e gli uomini vicini a Vladimir Putin, e se possibile creare anche una contrapposizione tra i due compagni di tandem. A quanto pare, niente di tutto ciò è riuscito, ma la cosa più importante è che tale obiettivo nulla aveva in comune con i reali interessi degli abitanti di Khimki, in nome dei quali Evgenija Chirikova ha costruito la sua brillante carriera politica. Dunque, lo straordinario aggancio tra un problema regionale e la sua risonanza federale in questo caso non è riuscito. A questo punto è il caso dire ancora due parole sul potere e sull’opposizione attuali.
Innanzitutto, il potere ha fatto la mossa giusta mandando Sergej Shojgu a governare la provincia di Mosca. Credo che per i prossimi due anni gli abitanti dell’hinterland moscovita difficilmente daranno ascolto ai consigli di chiunque altro che non il loro governatore; quanto a lui, pare che non voglia perdere tempo, e sta cercando con sollecitudine di formare i suoi quadri dirigenti, impresa non facile nella nostra epoca corrotta da mazzette e spartizioni. Credo che anche la delusione generale nei confronti di Boris Gromov, uno dei più autorevoli alti militari del Paese, debba aver suscitato negli abitanti delle città intorno a Mosca il sentimento di un’assoluta sfiducia verso qualsiasi personaggio carismatico, qualsiasi eroe che appaia in televisione per pronunciare bei discorsi.
Se persino Gromov, l’uomo che ha lasciato l’Afghanistan per ultimo, si è dimostrato un governante estremamente autoritario e al tempo stesso inefficace, incapace di tenere a bada la mafia nella sua regione, cosa ci si può aspettare da persone del tutto estranee all’esercito? Pertanto, è proprio nell’hinterland moscovita che l’opposizione oggi non ha nulla da raccogliere. Staremo a vedere come andranno le cose. Un’ultima osservazione: attualmente si parla molto del fatto che l’opposizione russa non può vincere perché nelle sue file manca un equivalente di Eltsin. Con ciò s’intende che tra i suoi leader manca una forte figura carismatica.
Non è esattamente così: i “protestanti” hanno diverse figure carismatiche, e ognuno degli oratori della piazza Bolotnaja, a eccezione forse del solo Udaltsov, è assai più eloquente di Eltsin, che parlava farfugliando. Ciò che manca loro è una squadra di politici e imprenditori che formino una cordata unitaria; a loro mancano Skokov, Lobov, Petrov e Silaev, quel secondo convoglio, non certo democratico, di anticomunisti che con il loro predominio e con l’influenza esercitata nell’ombra consegnarono la vittoria nelle mani di questo potere.
Per dirla in maniera più semplice, finora non si è arruolato nelle file dell’opposizione quello strato di dirigenti delle imprese, ben noto a tutti coloro che hanno avuto a che fare con la nomenklatura sovietica, che passando da un posto all’altro, da un incarico all’altro, mutando le proprie convinzioni e le regole del gioco riesce sempre a restare a galla e non si lascia mai escludere da alcuno scenario politico. E, per quanto possa sembrare strano, proprio in questo tipo di persone la popolazione ancora oggi riconosce i propri veri governanti. Ma queste persone per ora non vedono alcuna convenienza per sé nel passare dall’altra parte delle barricate e nell’unirsi all’ira del popolo, come molti di loro fecero già nel 1991.
Ma questo non è un motivo di giubilo per il potere, né una scusa per brindare con lo champagne. Prima o poi la nomenklatura delle regioni comincerà a indossare i panni dell’opposizione, per apparire più alla moda ed essere appetibile per i propri elettori. E sarà difficile dare a ciascuna regione uno Shojgu, perché di uomini con un nome così nella politica russa per ora ce n’è uno solo.”
Articolo originale di Izvestia pubblicato su Russia Oggi