Yes we ScanIn Sicilia o tutto è Mafia (e antimafia), oppure niente

“L'antimafia è pura retorica. Basta con gli inganni di coloro che per fare carriera sbandierano i principi di legalità, di mafiosità camuffata di legalità“. "In Sicilia il fenomeno della corruzione...

“L’antimafia è pura retorica. Basta con gli inganni di coloro che per fare carriera sbandierano i principi di legalità, di mafiosità camuffata di legalità“. “In Sicilia il fenomeno della corruzione è più grave che altrove, per via dei legami con la politica, eppure in questa campagna elettorale non si indicano prospettive concrete ma ci si limita a discorsi generici”
Sciascia? No: i preti che non t’aspetti.

L’avreste mai detto? Ad ingaggiare in campagna elettorale una polemica “sciasciana” non è stato mica un irriducibile illuminista di Racalmuto ma due alti uomini di chiesa in Sicilia: il vescovo di Caltanissetta Mario Russotto che parla di antimafia come “pura retorica” e l’arcivescovo di Palermo Paolo Romeo all’attacco della politica siciliana che “tace sulla corruzione”. Certo, per carità: non che non vi fossero stati alcuni casi del clero isolano (e romano) sugli addentellati politico-affaristici che non l’abbiano risparmiato. Tuttavia: Leonardo “Nanà” Sciascia è stato talmente razionale, disarmante quanto ineccepibile, che ora anche gli uomini di chiesa prendono ormai atto di un carico di palesi ipocrisie. Sono ormai consegnate agli archivi “zavoliani”, persino le gesuite linee dettate negli anni ottanta a Leoluca Orlando, dal centro Pedro Arrupe di Padre Sorge ed Ennio Pintacuda.

La “botta” più chiara, senza giri di parole, l’ha data Russotto. Il vescovo di Caltanissetta, insomma, è stato sul pezzo: come dargli torto? Mettiamo da parte per un attimo l’obiezione più facile che si possa fare su una celebre battuta di Totò Cuffaro come “La Mafia fa schifo”. Perché in realtà, le parole di Russotto, non lasciano esente certa antimafia militante con i suoi network. Basta dare una occhiata agli ultimi episodi politici che hanno caratterizzato la Sicilia: 1) il governo Lombardo, 2) le aramaiche elezioni per il sindaco di Palermo e (3) l’attuale campagna elettorale per le elezioni regionali. A Raffaele Lombardo – per esempio – non è bastato piazzare in giunta, come fossero manichini di Selfridges, due magistrati dell’antimafia: Caterina Chinnici (figlia del giudice Rocco) e Massimo Russo (“il pupillo di Paolo”, come alcuni biografi dell’antimafia additano), più altre “icone” cooptate nella foto di famiglia di un governatore che ora dovrà sostenere un processo per reati Mafia e che ha comunque lasciato sul terreno, un modus operandi spregiudicato che per alcuni ha perfino fatto rimpiangere Cuffaro. La città di Palermo, appena uscita da una discussa campagna elettorale per il primo cittadino, non si è fatta mancare nemmeno le faide in lotta tra due generazioni differenti dell’antimafia: da una parte il senatore Beppe Lumia, l’ex sindaco di gela Crocetta e Sonia Alfano che sostenevano il giovane Fabrizio Ferrandelli uscito vincitore dalle primarie e – dall’altra parte – Rita Borsellino, le agende rosse di Salvatore Borsellino ed altri ancora di “area”, schierati in curva nord a fare il tifo per l’ingresso a-gamba-tesa dell’attaccante aramaico Leoluca Orlando. Lo stesso cliché ora si ripropone pari-pari per le elezioni regionali in Sicilia, con una new entry: Crocetta ha appena ingaggiato Lucia Borsellino (figlia di Paolo), mentre Rita Borsellino appoggia Giovanna Marano, che ha ereditato la candidatura di Sel & Co., dopo il pasticcio anagrafico di Claudio Fava.

In Sicilia o tutto è Mafia oppure niente. Quando un mese fa Claudio Fava era ancora in corsa, prima del pasticcio anagrafico che lo ha portato al ritiro della propria candidatura, scrisse in rete: “Musumeci, Miccichè e Crocetta si affannano a promettere che non avranno accusati di mafia nelle liste: come mai hanno bisogno di precisarlo?”. Ecco. Oramai questa roba degli “accusati di mafia” rischia di diventare un totem tragicomico. Si dimentica che Cuffaro festeggiò a colpi di cannoli solo per essersi visto sfilar via “l’aggravante mafiosa” in primo grado (per poi ritrovarsela confermata in appello e a sentenza definitiva in Cassazione) nonostante la condotta processuale contemplava altri comportamenti non per questo meno gravi e discutibili. La battuta di Fava fu sicuramente ficcante, immediata, efficace e andava abilmente per sarcastica esclusione. Poi però, quando la mente va alla foto di quei cannoli che fecero il giro del mondo, si propone una domanda che, a questo punto, devovrebbe essere anche una riflessione culturale “sciasciana”: “o tutto è Mafia oppure niente”? O tutto è 416bis et similia, oppure niente? Provate ad immaginare cosa sarebbe accaduto se un presidente della Regione Veneto si fosse incontrato nel retrobottega di una boutique di Mogliano – e non Bagheria – per concordare con il locale “principe delle cliniche” la quadruplicazione delle tariffe sanitarie (fu uno dei temi processuali dell’imputato Cuffaro). Provate ad immaginare, in altra regione che non fosse la Sicilia, se non fosse scoppiato un caso da prima pagina. Invece no, in Sicilia tutto deve essere solo Mafia via 416bis. Quella battuta di Fava, ora, è persino superata dall’attualità. La polemica più gettonata di questi giorni accesa dai casi Fiorito, infatti, rimanda ad una sfilza di candidati siciliani che via-via stanno spuntando fuori con procedimenti a carico, non necessariamente toccati da reati parenti del 416 bis.

E’ a questo punto dell’attualità che intervengono anche le parole del Cardinale Romeo: “sulla corruzione in Sicilia si tace”. Parole “sante”, verrebbe da dire, vista la fatalità del ruolo. Lazio e Lombardia hanno messo in luce casi importanti, certo: e in Sicilia dove tutto si impone, gestisce, appalta, coopta e governa in modo mafioso senza essere necessariamente affiliati ex 416 bis? “La finanza entra al parlamento siciliano, la procura di Palermo ha aperto un fascicolo contro ignoti all’Ars”, annunciavano i Tg qualche giorno fa. In attesa che i magistrati di Palermo assumano le quantità necessarie di caffeina, attendiamo fiduciosi gli sviluppi dalla “procura più esposta d’Italia” (esposta a chi? A Ciancimino jr?). Salvo poi arrivare le precisazioni procedurali che, col piglio accademico, sottolineano: “non è un fascicolo, è una indagine conoscitiva”. “Indagine conoscitiva”? Se le cose stanno così, vuol dire allora che a Palermo il Csm invierà Ghisleri, Piepoli, Pagnoncelli come procuratori aggiunti e Mannheimer come procuratore capo.

Ad ogni modo: nessuno dei politici “s’è filato” le parole importanti (e scomode) di questi due alti esponenti della chiesa siciliana. Strano: in genere molti politici “cattolic embedded”, producono raffiche di dichiarazioni e comunicati stampa con una velocità ed un tempismo che non danno nemmeno il tempo di far finire i discorsi a Papi, Vescovi, Cardinali e Nunzi Apostolici. Certo, che parlino o no in risposta, non sapremmo dire cosa è meglio. Anche perché gli se embedded prendesso posizione, verrebbe poi in mente una formidabile battuta di Sciascia che abita nel libro-intervista di Marcelle Padovani, La Sicilia Come Metafora: “la Peste in Sicilia venne portata da una nave che si chiamava ‘Redenzione’”.

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