Roma la si può leggere come si vuole, ma da dove la guardo io difficilmente mi si mostra come un monumento alla storia antica: ne conserverò il ricordo di una via crucis degli anni ’70 e difficilmente quando me ne andrò ne porterò a casa un ricordo diverso.
Davanti a Piazza Walter Rossi ad esempio ci passo quasi tutti i giorni in bus. Una volta ne ho googolato il nome, così, per capire, visto che si trova non troppo lontana da via Fani.
Ho letto che Walter Rossi era un ragazzo di 20 anni, ucciso presumibilmente dai militanti dell’MSI il 30 settembre del 1977 e che poco si è potuto/voluto chiarire di questa storia negli ultimi 35 anni.
Quest’anno un sacco di manifesti sono stati appesi in sua memoria e lo scorso week end nella piazza che porta il suo nome c’è stata una manifestazione e un concerto. (Ovviamente era per me un week end lavorativo e con un turno tale da non permettermi di andare a vedere e ascoltare coi miei occhi.)
Una delle cose che colpisce a Roma per chi arriva da luoghi più remoti e meno abitati è quell’abitudine a comunicare attraverso manifesti che tappezzano la città di continuo, strato su strato, botta e risposta, di norma, di cronache politiche che altrimenti difficilmente, immagino, occuperebbero le chiacchiere dei bar.
Manifesti mediocri e talmente ridicoli a volte da indurre a chiedersi se possono sul serio essere utilizzati come unità di misura dell’intelligenza delle persone invitati a leggerli o piuttosto come distorta visione del proprio popolo da parte di alcuni.
E poi ogni quartiere ha il suo colore, il suo messaggio legalizzato, anche sopra la legge e la Costituzione e qui a Monte Mario, a Piazza Guadalupe, come ho già avuto modo di raccontare, è facile incontrare croci celtiche, slogan contro Badoglio il traditore, le tartarughe di Casa Pound e cose così. Da quando sono qui l’ho sempre visto come un patto tacito di un insulso gioco violento che immagino duri da decenni, in una vera guerriglia fatta di colla da parati e mazze di legno, di quartiere in quartiere, di muro in muro.
Così quale meraviglia a scoprire il sabato mattina che un pizzico di rosso si era fatto strada anche qui! Di rosso a dir il vero era rimasto solo il titolo: la maggior parte dei manifesti erano stati parzialmente ricoperti da altri fogli bianchi.
E non è certo una sottigliezza notare che non sono stati strappati, che se ne è voluta cancellare solo il programma, la modalità del ricordo.
Quasi a dire “anche noi -noi quelli che andiamo scrivendo che l’8 settembre non abbiamo tradito- ricordiamo che 35 anni fa è stato ucciso Walter Rossi” Ma certo con un significato ben diverso, che però parla, parla forse più di quanto non abbia parlato la Giustizia rispetto a quest’omicidio ancora senza colpevoli.
Oggi passando in piazza ho visto una coppia di anziani fissarne uno. Commentavano stranamente stupiti.
Mi sono fermata a guardarlo bene: con un pennarello rosso c’era scritto così:
“La coscienza democratica e la verità non si offuscano con un foglio bianco”
C’è una firma con nome e cognome.
Nella piazza che fa passare mesi prima di ripulire le svastiche senza firma dai muri della chiesa, qualcuno ha detto basta e ci ha messo la firma.
Una donna.
E forse questa non è una storia che merita le prime pagine dei giornali, e forse non è neppure una notizia tanto importante.
Però per un momento mi è sembrato vedere quest’angolo di mondo fare un balzo in avanti di 40 anni. Mi è sembrato per un momento sentire parlare il nostro tempo.
Mi è sembrato per un momento che si volesse urlare “La vogliamo finire? Lo capite che la morte non è un gioco?”
E io non so chi sia questa signora Ivana, anche se mi piace pensare abbia esattamente 55 anni. 20 + 35. Vorrebbe dire, ecco, finalmente qualcosa…