In questi giorni si tiene il Salone Nautico di Genova, come ogni anno sono andato in visita il primo lunedì della settimana, nei giorni dove gli operatori di settore hanno una sorta di corsia preferenziale.
Già arrivando sulla sopraelevata che conduce alla zona fieristica, la mancanza totale di traffico era un pessimo auspicio, abituato com’ero alla consueta processione a passo d’uomo, che normalmente iniziava sull’autostrada ben prima dei caselli.
Giunto in fiera, lo scenario è stato piuttosto sconcertante. Nonstante fossi ben consapevole della situazione generale, il Nautico – come lo chiamano i genovesi – ben rappresentava l’evidente contrazione subita dal comparto: piazzali vuoti, poca gente in circolazione e il numero di barche in esposizione visibilmente ridotto.
Già il sabato per l’inaugurazione gli imprenditori della Confidustria Nautica avevano disertato il taglio del nastro con il Viceministro di turno (Mario Ciaccia, Vice Ministro alle infrastrutture e trasporti) ‘reo’ di rappresentare un governo che ha demonizzato il settore nautico. Quindi in giro per i padiglioni ci si imbatteva in polemici cartelli sulla disoccupazione creata dalle incertezze del governo tecnico e sull’evidente disinteresse di questo per il comparto.
Al di là di ogni considerazione di natura politica, è doveroso inquadrare ciò che la nautica rappresenta per il nostro Paese.
A parte i numeri importanti pre 2008, l’industria nautica in Italia è un comparto costituito da 37.000 imprese (di cui il 97% fatto di piccole e medie) che dà lavoro a 234 mila addetti diretti con un fatturato che nel 2011 è stato di 20 miliardi di euro. Il quinto settore industriale nazionale.
In Italia, soprattutto in alcuni distretti importanti, primo fra tutti quello di Viareggio, siamo i primi costruttori al mondo di megayacht (oltre i 50 metri) e, all’estremo, in Lombardia si concentra la maggior concentrazione di costruttori di battelli pneumatici (definirli gommoni è oramai riduttivo) esportati in tutto il mondo. Quindi non è sbagliato definire la nautica, uno dei gioielli importanti del Made in Italy e quindi un settore da tutelare, non solo da sbattere in prima pagina accostato all’evasore di turno, che nell’acquisto della barca sembra quasi voler consolidare il suo status criminale.
Tenuto sempre conto della gravità del momento, su tutti i fronti, è davvero un peccato che le misure ventilate da questo governo sulla lotta all’evasione fiscale abbiano alla fine dato pochissimi frutti.
Riassumendo: in gennaio il Governo annuncia l’introduzione di una tassa di stazionamento (sacrosanta fino a qui), ma estesa a tutte le imbarcazioni sopra i 10 metri presenti nelle acque nazionali. Nei casi più estremi si arrivava a oltre 700 euro al giorno.
Questo annuncio ha creato nei primi mesi dell’anno una fuga delle barche verso i porti delle nazioni limitrofe (Francia, Spagna, Croazia e Grecia che ringraziano) per evitare la gabella. Occorre precisare che, mediamente, una barca lascia annualmente sul ‘territorio di residenza’ circa il 10% del suo valore tra spese di rimessaggio, ormeggio, equipaggio, assistenza, turismo ecc. Quindi una voce piuttosto sostanziosa, se si pensa a uno dei grandi yacht sui 40/50 metri del valore di altrettanti milioni di euro che affollavano la Costa Smeralda e non solo nei mesi estivi.
Questa tassa è stata in seguito ridimensionata, ma a ‘frittata già fatta’ con le barche e le navi da diporto al sicuro nei porti oltreconfine, e le barche rimaste con una giusta tassa di possesso parametrata alle dimensioni, all’età ecc.
Il risultato è stato un calo sostanzioso delle presenze di diportisti nei porti italiani, prima fra tutti la Sardegna che ha subito cali anche del 40/50% rispetto all’anno precedente. Il gettito nelle casse dello stato dalla tassa di stazionamento è stato di circa 22 milioni di euro, circa 100 milioni in meno di quanto preventivato!
Ora, non che voglia difendere un settore in maniera miope e incondizionata solo perché mi da da mangiare, ma la nautica nazionale è davvero in cattive acque. Dispiace vedere tanti cantieri che stanno chiudendo, e un altro settore dell’industria nazionale sacrificato allo shopping low cost di fondi di investimento orientali.
La locandina pubblicitaria del Salone di Genova 2012 è, forse involontariamente, emblematica della situazione della nautica nazionale: una pesante àncora ammiragliato -di quelle che oramai si vedono più tatuate su bicipiti in spiaggia che sulle prue delle imbarcazioni che abbiano meno di 100 anni- saldamente conficcata nell’asfalto di una strada panoramica genovese. All’ancora è naturalmente attaccata una catena che si libra nel cielo dove sparisce.