Sonar: segnali di mobilità in-sostenibileLavorare, collaborare o “collavorare”? Un libro in cui si parla di una nuova stagione sociale (e de LINKIESTA).

Se c’era il minimo rischio di essere autoreferenziali qui proprio ci si annega dentro. Primo perché ogni tanto scrivo un post su questa testata. Poi perché il libro contiene una intervista al diret...

Se c’era il minimo rischio di essere autoreferenziali qui proprio ci si annega dentro. Primo perché ogni tanto scrivo un post su questa testata. Poi perché il libro contiene una intervista al direttore della suddetta medesima. E ancora perché LINKIESTA, in questo libro è citata a piene mani, festa di anniversario inclusa. Ma quando ho letto il post di Gallo che raccontava la bella storia di Alessia Barbiero non ho potuto pensare ad almeno una analogia con il libro “Lavorare o Collaborare? Networking sociale e modelli organizzativi del futuro” che ho appena pubblicato per Egea. Non tanto l’avere trovato un lavoro, ma aver aggiunto una dimensione al mio. E ancora una volta c’entra LINKIESTA.

C’entra perché è anche grazie a LINKIESTA se ho ricominciato a scrivere con una certa regolarità e qualcuno se ne accorto e mi ha chiesto di scrivere un libro. Ma soprattutto c’entra perché è un giornale digitale e per tipologia basato su un sistema collaborativo, c’entra perché ci si interroga sul futuro di questo Paese e della classe dirigente che lo governa e lo governerà, c’entra perché qui si tengono gli occhi ben aperti sulle sfide sociali ed economiche che stanno plasmando un continente prima e una nazione poi. C’entra perché i temi dell’occupazione, dell’impresa, delle organizzazioni, dell’evoluzione tecnologica e del modo di lavorare che ne consegue sono, a mio modesto parere, una spina dorsale che fa de LINKIESTA, dei sui giornalisti e dei suoi blogger quello che è.

E’ un libro che parla della società e delle organizzazioni
Il libro che ho scritto tratta di tutto questo partendo dalla convinzione che siamo dentro una nuova stagione sociale che riguarda tutti noi, ma soprattutto, grazie al loro ruolo perno, che investe le organizzazioni aziendali (pubbliche e private) di responsabilità decisive in quanto soggetti intitolati da una parte a gestire le persone/collaboratori e dall’altra a trainare il Paese nella sfida competitiva sui mercati. In altre parole le organizzazioni sono quell’imbuto che ha in mano il cerino intitolato a gestire il front-end di cambi generazionali, pensionistici, occupazione, innovazione, competizione, sviluppo, tagli e investimenti. In cruda sintesi si potrebbe anche dire: a licenziare o assumere qualcuno e quindi, scusate se è poco, a decidere della dignità di un uomo e di una donna, della felicità di una famiglia, del futuro di un popolo.

E’ un libro che parla delle persone e di un nuovo modo di lavorare
E cosa sono le organizzazioni se non delle interfacce di processo gestite da persone? Ovvero da quella stessa classe dirigente, da quella stessa cultura sociale e politica di cui discutiamo ogni giorno tra le righe di questo giornale. In tutto ciò si innesta l’opportunità offerta dalla tecnologia di rivoluzionare proprio i processi, la relazione tra collaboratori, il luogo e il tempo di lavoro, la logica gerarchica.

E’ un libro che parla di un’altra strada
A che punto è l’“organizzazione” italiana davanti a tutto questo? Quali sfide deve affrontare? Quali risposte può dare? E’ preparata culturalmente a gestire il caos che la rete comporta? Come farà convivere baby boomers e millenials? Ma anche e soprattutto: non siamo forse arrivati a un punto in cui personaggi come Briatore e i suoi apprentice appaiono l’icona grafica del concetto di “anacronismo” (e non a caso sono l’ultima imitazione di Crozza)? E’ una mia impressione o pare anche a voi che tutta una serie di riferimenti al concetto di “come fare business” stia per essere spazzata via?
Siamo stati cresciuti a pane e egoismo, su modelli sociali non autoctoni, alla ricerca di una competitività sterile, a cercare di fregare il prossimo come opzione di default. E se ci fosse un’altra strada? E se invece di questa cieca propensione alla competizione fratricida si potesse costruire il futuro basato su un nuovo scenario collaborativo? E se invece, appunto, “collavorassimo”? La storia del mondo è fatta di ladri, di truffatori, di guerre e predominio, è vero, ma anche di brave persone e convinzioni idiote. Del resto anche di Swissair o di Lehman Brothers si diceva che non sarebbero mai fallite. Del resto anche di Tanzi o di Madoff si elogiava la fantastica capacità imprenditoriale. E invece, guarda un po’.

Qui infine a chi andranno i proventi di questo lavoro: come vedete mi sono tenuto l’ultima riga per metterla in quel posto all’autoreferenzialità. Davanti a un bambino che muore di fame me la gioco volentieri la faccia e anche l’accusa di egocentrismo.

Il libro è in vendita in libreria e su Amazon, IBS, etc

Il sito del libro

Il teaser alle interviste, compendio digitale al libro.

 https://player.vimeo.com/video/50740881?autoplay=0 

Teaser 3 from nicola palmarini on Vimeo.

Estratto alla quarta di copertina:

«Meno finanza e più società»: così suona oggi l’appello condiviso da più parti quando si tocchi il tema della crescita. Alla ricerca di una via nuova per generare quel valore che l’accumulazione capitalistica non è più in grado di garantire, in un contesto di complessità e connessione crescenti, dominato dai fattori intangibili della conoscenza e della capacità di innovazione, e dalla richiesta di un’efficienza sempre più spinta, il modello alternativo deve ripartire dall’interno delle imprese e dalle capacità delle persone.
La domanda posta dal titolo di questo libro implica allora nella realtà molto più di un semplice shift pratico, facilitato dalla tecnologia «social» del momento. Arriva a racchiudere un profondo riesame del proprio «essere impresa» prima ancora di incontrare il mercato e focalizza un punto cruciale della sfida che le organizzazioni si trovano ad affrontare: chiudersi o aprirsi? Resistere sul fronte dell’«abbiamo sempre fatto così» o mettersi in gioco e misurarsi con la riscoperta di un «sé» collaborativo e comunitario all’interno di un processo di massa? Ridefinire il concetto di giornata, così come di luogo di lavoro; immaginare strutture organizzative adhocratiche anziché gerarchiche; sconvolgere abusi semantici tipici del secolo scorso come team o riunione; sfidare il caos; mettere in discussione anni di leadership cristallizzate; confrontarsi con il perimetro labile di una privacy tutta da reinventare: è arrivato il momento di iniziare a collaborare.

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