Mentre aspettiamo pacate e sofferenti l’inizio della refezione scolastica, previsto presumibilmente per il 5 novembre, e paghiamo regolarmente il relativo bollettino (perché evadere l’obbligo vorrebbe dire non vederci garantito un diritto), le giornate, all’ombra del Vesuvio, scorrono sempre più frenetiche. Qui a Napoli, noi mamme con figli a scuola a tempo pieno corriamo tutto il giorno. Perché il tempo pieno, a un mese dall’inizio delle scuole, ancora non c’è e non ci sarà per ancora un mese. Viviamo stritolate da tempi strettissimi per spostamenti assurdi finalizzati a prelevarli i bambini a scuola al suono della campanella (entrano alle 8 e escono alle 13). Facciamo a cazzotti con impegni lavorativi continuamente rimandati o comunque portati a termine nella confusione più totale, con sciatteria, a volte anche commettendo errori. Eppure sopportiamo. Restiamo zitte. Cerchiamo pacificamente e civilmente di farci ascoltare. Qualcuna ci riesce, qualcun’altra meno.
La sensazione più brutta è quella di impotenza, peggiore ancora quella di essere trasparenti. Capita spesso in una città come la nostra, capitale del calore e della cordialità ma anche così approssimativa da risultare, spesso, terribilmente irritante. Come stamattina. Torno a casa con i bambini e apro lo zaino di mio figlio per vedere se ha dei compiti da fare. Trovo il quadernetto che le maestre usano per comunicazioni e avvisi alle famiglie e leggo che la preside, in virtù dello sciopero nazionale indetto per domani, sulle problematiche della scuola, ci chiede di accertarci, domattina, alle 8, della presenza delle insegnanti, perché, altrimenti, non potrà essere garantita la vigilanza sui bambini né il SERVIZIO DI REFEZIONE SCOLASTICA. Quale servizio visto che non ce lo abbiamo e non se ne parla per un altro mese? Si tratta, evidentemente, di un modulo prestampato, utilizzato in occasione di scioperi o assemblee sindacali. È il momento, sbagliato, non il testo. Rido a crepapelle. Perché in questo momento mi sembra una presa in giro, una leggerezza imperdonabile.
Non sono contraria agli scioperi. Trovo legittimo il diritto dei lavoratori a scendere in piazza, anzi, lo difendo soprattutto se si tratta di difendere la scuola da tagli assurdi e spropositati. Mi va bene anche correre il rischio di non trovare le maestre, domani, voglio comprendere la loro posizione e essere pronta a una giornata senza lavoro. Mi domando solo quando qualcuno inizierà a comprendere noi mamme. Perché stimo troppo la mia preside per ritenere che l’avviso relativo alla refezione – che non c’è – sia stato qualcosa di diverso da una banalissima distrazione. Deve essere per forza come penso: un modulo prestampato che lei, presa dalla fretta e dalle mille preoccupazioni relative all’assenza del tempo pieno, ha solo firmato, senza leggerlo attentamente. Ma tanta leggerezza non poteva essere evitata? Perché abbiamo dovuto leggere quel rigo sgradevolissimo sulla refezione, problema che leva il sonno a centinaia di mamme in tutta la città? Mamme che non sanno come fare a sopravvivere alle loro interminabili giornate, che non riescono neppure ad andare in bagno a fare pipì, che non possono sopportare un peso così, insieme ai loro mariti. Ci sono coppie sull’orlo dello sfascio per la tensione che si respira nell’aria di casa con un’organizzazione così pesante.
La colpa non è certo delle dirigenti scolastiche, sia chiaro. Ma questo è un ulteriore buco in un’immagine già piena di toppe.
In mezzo a questa diffusa e triste leggerezza, c’è però un piccolo gesto che profuma di buono. Quello di alcune maestre che, nello stesso istituto, hanno evitato di mettere nello zaino dei bambini una simile richiesta. Hanno dichiarato che scioperare e mettere ulteriormente in ginocchio le mamme è una cosa disdicevole, in questo momento, di qualunque natura sia lo sciopero. Questa, credo, sia una bellissima prova di solidarietà. E di lotta per il futuro della scuola. Le scuole, senza le famiglie, e i bambini, non possono sopravvivere. Sarebbe bene che se lo ricordassero tutti.