■ Chi è Mark Schaefer?
Qualche tempo fa abbiamo intervistato Mark Schaefer, autore di Businesses Grow ed esperto di marketing con un’esperienza di oltre trent’anni.
In primo luogo abbiamo chiesto a Mark qualche dettaglio riguardo al suo nuovo libro, Return on Influence: il libro è nato da un post sulle tendenze della social influence e Klout, scritto a Novembre del 2010. La reazione dei lettori è stata molto violenta, e molti si sono chiesti come fosse possibile che le aziende tentassero di “misurare” le persone in termini di influenza.
Tutte le volte che ne scriveva, la reazione era la stessa: dall’altra parte, tuttavia, c’erano sempre più esempi di brand e aziende che adottavano il social scoring per il loro marketing. Si è venuta a creare dunque una contrapposizione tra le opportunità di business e l’odio personale, da cui sono emerse le riflessioni presenti nel libro. Si tratta di un libro che apre un nuovo ambito di ricerca, in quanto non esiste nulla su questo argomento: esplora il modo in cui il potere e l’influenza funzionano, e come le aziende possono usarli per costruire il loro brand.
Abbiamo naturalmente chiesto qualche spiegazione riguardo al gioco di parole del titolo, ROI, e per quale motivo avesse accostato questi due concetti: Mark è del parere che nel momento in cui ci si avvicina al social web dal punto di vista del business è necessario aprire gli orizzonti. Lui stesso fa marketing da molti anni, ed impronta molto sull’aspetto della misurazione. Spesso a suo avviso, tuttavia, si perde di vista il fatto che molti dei vantaggi del social web sono qualitativi, non quantitativi, e non possono essere inseriti in uno spreadsheet. Diventa necessario dunque uscire dall’ottica del ROI tradizionale per poter espandere la propria visione in questo senso.
Sicuramente il ROI è misurabile, ed è misurabile con più precisione rispetto a qualsiasi altra cosa. Sul web ci sono così tanti dati che fare connessioni, misurare e mettere in collegamento i risultati con i comportamenti di acquisto diventa molto pù semplice. La domanda più importante, specialmente per le piccole imprese, è il costo: la misurazione stessa del ROI sarebbe troppo onerosa, e paradossalmente potrebbe persino eroderlo se i margini sono bassi.
Abbiamo chiesto a Mark in quale modo i clienti si relazionano con i brand su Facebook, e quali differenze ci sono rispetto alla relazione che si sviluppa offline. Secondo lui non è possibile rispondere a questa domanda, anche perché un brand conosciuto e amato come Coca Cola avrà moltissimo engagement su Facebook perché moltissime persone lo conoscono. Se invece l’azienda è molto piccola e settoriale su prodotti non particolarmente engaging, allora non c’è alcun motivo per entrarci in contatto.
Mark è del parere che per la business strategy per Facebook sia riassumibile in una frase: “vieni a sprecare del tempo con me”. Se il brand è uno con cui le persone amano “sprecare del tempo”, allora ha senso investire in una presenza su Facebook, ma a suo avviso i potenziali benefici sono decisamente sovrastimati.
I clienti vogliono fondamentalmente tre cose, a prescindere che si tratti di BtoB o BtoC: sapere come possono risparmiare soldi, come possono risparmiare tempo, oppure come divertirsi.
Un’altra domanda che abbiamo fatto a Mark riguarda la diversa percezione di un’amicizia tradizionale rispetto a una su Facebook. A suo avviso ci sono due differenze fondamentali: una è la reciprocità, che online diventa legata a un click; l’altra è la “prova sociale”, la tendenza a cercare scorciatoie legate alla affidabilità quando mancano i dati per poter prendere una decisione oppure giudicare. Nel mondo online, la “prova sociale” diventa fondamentale, perché raramente le persone hanno la possibilità di conoscersi di persona: gli indicatori diventano quindi il numero di fan, di like, di follower su Twitter oppure il Klout score, al punto che queste cose paradossalmente sono più rilevanti degli effettivi obiettivi raggiunti.
Infine abbiamo chiesto a Mark quale sia la sua visione della content curation: la sua è una definizione molto semplice. Se si è in grado di produrre contenuti interessanti e veicolarli attraverso una rete di persone coinvolte su Internet, allora questo costituisce una fonte di potere.
A quel punto è possibile misurare il modo in cui il contenuto si muove su Internet, e come le persone ci interagiscono. Per la prima volta dunque siamo in grado di quantificare un piccolo pezzo di influenza, ed è esattamente ciò che Klout e PeerIndex tentano di fare.
Naturalmente invito tutti a visionare l’intervista, molto ricca di spunti e riflessioni. Buona visione!