Bersani, poi Renzi, infine Vendola.
Il leader di Sel scende ufficialmente in campo per le primarie del centrosinistra e lo fa in un luogo simbolico, il Mav (Museo Archeologico Virtuale) di Ercolano. Oppure Vendola è il suo slogan, grido di battaglia di una campagna che si fonda su una serie di dicotomie in cui il governatore pugliese si presenta come l’antitesi alla “solita Italia”.
La campagna è graficamente accattivante, fresca, pulita, lo slogan funzionale se è vero che poche ore dopo su twitter impazzava la guerra dei memi su quell’ Oppure Vendola.
Eppure qualcosa non torna, dietro il volto stilizzato, fra i colori pieni, nelle parole scelte. L’impressione di fondo è che, con una veste nuova, sia sempre la solita storia. Come dire, cambia la facciata ma la narrazione vendoliana rimane ferma su se stessa, senza slanci in avanti né aperture politiche o semantiche.
Questa coerenza ha i suoi aspetti positivi, naturalmente. Crea riconoscibilità, fortifica l’appartenenza, esprime un’identità netta, rappresenta il capitale politico di Vendola e del suo movimento. Nel breve periodo, ovvero rispetto alle primarie del centrosinistra, la scelta appare chiara: parlare al cuore dei propri sostenitori, serrare le fila, ottenere un buon risultato alle primarie e battere cassa al momento della composizione dell’eventuale futuro governo di centro sinistra. Legittimo.
Il punto è un altro. Questa granitica coerenza rischia di diventare immobilismo: parlare sempre agli stessi elettori, arroccarsi in una posizione minoritaria perenne alla lunga fa correre il rischio di essere erosi dalle correnti dell’antipolitica, perdendo pezzi e consensi. Proprio in un momento in cui, con il sistema politico e partitico praticamente liquefatto, sembrano aprirsi potenziali spazi di consenso da conquistare. Non per diventare partito di maggioranza, ovvio, ma per caratterizzarsi come una forza di governo davvero rappresentativa, moderna, affidabile.
Al di la di qualsiasi considerazione su questo o quell’espediente grafico, quindi, è sulla strategia di fondo che Nichi ha perso un’occasione. Le primarie del centrosinistra rappresentano la prima grande occasione per dimostrare che il brand Vendola può esistere con successo anche fuori dai confini della Puglia, che può superare la narrazione poetica ma di opposizione permanente per coprire spazi di rappresentanza politica ed elettorale nuovi. In sintesi, un’occasione per superare i confini: regionali, linguistici, politici, elettorali.
Invece Vendola sceglie, ancora una volta, di arroccarsi in una posizione antagonista, da partito perenne di minoranza.
Lo fa con la scelta dei temi, fuori dall’agenda pubblica e dalle priorità del Paese, caratterizzati da un’impronta ideologica netta, che predilige l’identità all’attualità. Sono i “suoi” temi, quelli del suo popolo, a cui basta accennare la parola “Diaz” per evocare una visione del mondo chiara e definitiva.
Anche le scelte comunicative risentono di questa impostazione. Oppure Vendola rende esplicita la sua posizione di alternativa che, se riferita ai temi usati nella campagna, è un’alternativa positiva ma se astratta, ad esempio, in riferimento agli altri protagonisti della competizione (soprattutto ai due “litiganti”) pone Vendola su un piano subalterno, quasi da male minore: se non va bene nessuno dei due allora c’è lui.
Un conto è sapere, come tutti sanno, che il governatore corre da comprimario (almeno sulla carta), un altro è autodefinirsi esplicitamente tale, ficcandosi da solo nell’angolo, a recitare esattamente la parte che ci si aspettava da lui.
Oltretutto questo slogan, al netto di qualsiasi considerazione se sia bello o brutto, presenta un limite: esplicitare più alternative indebolisce il protagonista, lo rende uno fra tanti, lascia intendere la possibilità che, bella o brutta che sia, esista un’alternativa da poter scegliere.
Molto più efficace scegliere una storia in cui la direzione non può che essere una sola, il protagonista uno e uno soltanto, la scelta pressoché obbligata.
In sintesi, poteva essere l’occasione buona per uscire dall’angolo, per raccontare una storia mainstream che fosse pro e non contro, per provare ad esserci da protagonisti e non da outsider. Non lo è stata. Se a torto o a ragione lo decideranno gli elettori delle primarie, che oltre a Bersani e Renzi potranno scegliere di votare Vendola.
Oppure no.