In questi giorni ci chiama un sacco di gente un po’ inguaiata. Soprattutto, dalla zona Regione Lombardia e dintorni, in quello che sembrava un Celeste Impero appena fino a un paio di anni fa, arrivano telefonate improbabile. “Se volete” l’ultima telefonata di un semibig arrivata poco fa “sono a vostra disposizione per parlare di…”. E poi una gragnuola di nomi, dettagli veri o verosimili, possibili patacche e polpette avvelenate sul conto di presidente uscente, giunta uscente, partito in via di sfaldamento, e così via.
In questi casi, naturalmente, si sta zitti, si ascolta e si prendono appunti, prima di valutare qualunque mossa. Parte del mestiere, si dirà. Tuttavia, i politici e non solo, ormai, sanno che al telefono è possibile essere ascoltati, registrati ed eventualmente sbobinati. Se poi i politici sono indagati, nemmeno nuovi agli avvisi di garanzia e alle intercettazioni pubblicate, beh, c’è da credere che certe telefonate non capitino per caso.
Viene in due parole il dubbio che non sia di informare i giornalisti di improbabili piste, ma di mandare messaggi e pizzini a chi ascolta e a chi – nella testa dell’intercettato, ma forse anche della realtà – si vede recapitare le note. A un paese già abbastanza distorto, nel rapporto coi media e con la loro funzione, mancava solo di imbattersi in questa ultima, curiosa distorsione: il giornalista che fa da fermo posta per lettere destinate a chissà chi.