BabboradioQuelli che si fermano mentre stai provando a calmare tuo figlio

Il profilo è più o meno sempre lo stesso: anziano, anagraficamente ma anche no (certi 40enni parlano come mia nonna, ma senza la sua intelligente ironia), da soli, con sporta della spesa e troppo, ...

Il profilo è più o meno sempre lo stesso: anziano, anagraficamente ma anche no (certi 40enni parlano come mia nonna, ma senza la sua intelligente ironia), da soli, con sporta della spesa e troppo, troppo tempo a disposizione. Li vedi, e cominci già a incazzarti.

Prendiamo oggi, che Numero Due mi ha piantato un inspiegabile e repentino capriccio fuori dal nido. Dopo aver trattato per quasi venti minuti una resa onorevole, averlo lusingato coccolato minacciato, sono zuppo di sudore (grazie, tropical wet lombardo) e in ritardo.

A quel punto so già che ho voglia di dargli due pattoni sul sedere e sto resistendo inutilmente. Ho una frustrazione che prenderei a calci qualunque cosa mi si pari davanti. La mia voce sale di due toni e diverse tacche di volume. Ma tutto sommato sono ancora calmo.

Loro però non ce la fanno. Devono per forza aiutarti. C’è una voce che dice loro che devono redimere i loro peccati caricando di tentazioni omicide il prossimo.

Questa volta è una signora, molto anziana. “Ma tu che sei così un bel bambino, fai i capricci?” dice. E lo ripete, sempre più convinta. Io forzo un sorriso che mi si spaccano tutti i frenuli delle gengive. “Sa, è stanco” dico con la voce rotta dall’emozione, e l’emozione fa in fretta a trascolorare dal reato preterintenzionale al volontario. Quindi provo a svicolare.

Numero due, è logico, si pianta ancora di più: da un mulo ho ottenuto un mulo al quadrato. La signora mi abbandona, ricomincia il tutto, finisce con i due pattoni promessi e un poco di pianto. Poi tre metri, giuro faccio solo tre metri e ce n’è un altro. Uomo, anche lui bello anzianotto. Di quelli pettinati dal 1950 così, e non c’è verso.

Vai a vedere i lavori, ti prego, penso irrispettoso ma sono fuori dalla grazia di dio e ho il Normannino all’altra scuola che mi aspetta. “Ma non lo sai cosa succede ai bambini che fanno i capricci?”. Questa volta non rispondo e non sorrido. Faccio un cenno che potrebbe essere arrivederla o prestami il tuo cane un momento, e tiro dritto. Numero Due ora è un mulo al cubo che piange.

Dopo qualche minuto, Numero Due si calma. Ne incontro un terzo, che mi aveva visto da dietro, e ora mi sorpassa, è una mamma. Che davvero non può farne davvero a meno, oggi, con la fretta che ho, stanco dopo mezz’ora di scontri e incontri, di raccontarmi che anche il suo fa sempre i capricci. E come, e quanto. Tre secondi, e Numero Due, a cui non sembra vero di avere di nuovo un pubblico, riattacca il suo pianto, che è ormai finto o retorico (ne parlerò in un altro post).

Potrei farmi la barba con lo sguardo che le lascio, salutandola con una scusa qualsiasi.

Mi fiondo verso la scuola del Normannino, latrando tra me: ma come fai a non accorgerti che così non solo non mi aiuti, ma mi fai fare anche la figura del babbo stressato e troppo severo, senza pazienza e senza dolcezze, mi acuisci il senso di colpa per quei due pattoni, mi uccidi il senso felice dell’andare a prendere mio figlio, perché non ce l’ho con lui, lui fa solo i capricci e li dobbiamo superare insieme.

Noi due, insieme. Due. Tre, guarda, ti giuro, siamo già troppi su questa strada.

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