Questa volta non sono d’accordo con il presidente della Repubblica. Il suo ultimo appello ai partiti perché diano risposte serie alla crisi politica e la sollecitazione ad approvare una nuova legge elettorale sono ineccepibili. Tuttavia l’idea che questo parlamento abbia ancora qualcosa da dire mi pare troppo generosa. Personalmente preferirei che le elezioni politiche previste per la prossima primavera si svolgessero il più presto possibile. Ci sono tante buone ragioni. La prima è che visibilmente questo parlamento non rappresenta più l’umore degli italiani. Un partito, quello di maggioranza relativa, si è disciolto. Un altro partito, che non vuole chiamarsi tale, ha ormai una tale messe di consensi che lasciarlo fuori dalle decisioni appare sbagliato.
Parlo dei grillini o come diavolo vogliono essere chiamati. Per di più il governo appare immobile e sottoposto ai ricatti di un gruppo parlamentare, quello che fa capo a Berlusconi, che non sa più che pesci pigliare. È vero che il nuovo parlamento potrebbe rivelare un tasso di ingovernabilità assai alto, ma aspettare che la situazione migliori è illusorio. Grillo è dietro l’angolo, molto meglio fare i conti con i suoi deputati e senatori che vivere una viglia carica di tensioni e di paure forse immotivate.
Da qui a marzo per di più il quadro politico potrebbe così sfarinarsi che persino le forze politiche più strutturate, penso al Pd, potrebbero subire colpi tali da renderlo ancora più fragile di oggi. Al voto, quindi, e accada quel che deve accadere.
I partiti dovrebbero decidere la proposta da fare agli italiani. Il Pdl come riorganizzare il centro-destra, l’eterna proposta centrista dovrebbe raggrumarsi, il Pd dovrebbe scegliere fra l’alleanza della sola sinistra e l’idea di una coalizione più ampia offrendo ai moderati uno sbocco alla loro titubanza e vulnerabilità. Ogni giorno che passa porta con sé nuovi segnali di sgretolamento e qui ci sarà la ragione del voto per un movimento anti-sistema o addirittura per la scelta del non voto. Una situazione difficile, in poco tempo, può diventare una situazione disperata.
Rispetto al ’92- ’94 non c’è appiglio per chi vuole cambiare. Il Pd sta messo meglio del Pds occhettiano ma deve affrontare lo stesso dilemma, cioè quello della vocazione maggioritaria non dichiarata e del confronto nudo e crudo con il tema delle alleanze per dare una possibilità a un governo che ci tenga in Europa. Il Pd che si dibatte fra Bersani e Renzi appare ogni giorno di più l’estrema risorsa ma anche l’eterna incompiuta. Lo scontro fra i due competitor, con la controprova fornita dal voto per Vendola, non mostra ancora un partito maturo.
Non critico nessuno dei due candidati, soprattutto quello, Bersani, per cui voterò. Critico l’assenza di un discorso alla nazione che sia all’altezza dei tempi. Tutto è rivolto all’interno, la suggestione competitiva non fa emergere il profilo nazionale di questo partito che raccoglie l’elettorato più stabile della storia italiana ma anche quello che meno riesce ad esprimere capacità di aggregazione di altre volontà politiche. Bersani e Renzi si scontrassero pure sulle proprie qualità personali, ma dovrebbero trovare la forza di dire assieme perché il Pd può essere un punto di riferimento non di chi voterebbe comunque a sinistra ma anche di chi non lo voterebbe e non l’ha mai votato.
In fondo Grillo a questi si rivolge. Renzi per parlare a questi promette di scassare il suo partito per togliergli le sembianze antiche. Bersani offre la sua tranquillità e la sua innegabile esperienza di governo. È poco, cari amici e compagni.