Spin DoctorRenzi e il cavallo di Troia dalemiano

Il passo indietro di D’Alema ha una valenza strategica che va ben oltre l’assist a Bersani. È il classico cavallo di Troia. Fingere la ritirata per far scoprire l’avversario, costringerlo alla pros...

Il passo indietro di D’Alema ha una valenza strategica che va ben oltre l’assist a Bersani. È il classico cavallo di Troia. Fingere la ritirata per far scoprire l’avversario, costringerlo alla prossima mossa, ad uscire allo scoperto.
Mira dritto a demolire il pilastro su cui regge tutta la narrazione rottamatrice di Renzi.

Dopo settimane di batti e ribatti aspro e senza esclusione di colpi fra i due, D’Alema non è il solo da rottamare. È sicuramente il più “pesante”, il pezzo da novanta.
Con Veltroni che, con abile tempismo e intelligenza comunicativa, ruba la scena e i titoli dei giornali autorottamandosi prima di essere rottamato, il venir meno anche di D’Alema non può che svuotare di peso e verve polemica la furia rottamatrice renziana.
È una trappola (comunicativa) bella e buona.

«Finalmente la discussione sulla rottamazione può prendere un altro verso. Adesso la discussione può essere sui contenuti» dichiara Renzi poche ore dopo. Il sindaco di Firenze smorza i toni, cambia registro, mostra soddisfazione. Ma è una vittoria di Pirro. E, soprattutto, un errore strategico.

In primo luogo perché si è fatto dettare l’agenda da D’Alema.


Paradossalmente la rottamazione prende un altro verso a causa di una scelta del presidente del Copasir. Renzi, per la prima volta in questa campagna, si trova ad inseguire, a cambiare strategia a seguito di un fattore esterno, non per una scelta voluta e pensata.
D’Alema ha buttato l’amo e Renzi ha abboccato.

In secondo luogo questa era l’occasione giusta non per smorzare la forza della rottamazione, concetto ormai dominante nel dibattito politico nazionale, ma per dargli uno slancio definitivo oltre i confini del PD. Un’evoluzione comunicativa e linguistica, meno brutale volendo, ma più aperta e capace di comprendere categorie semantiche e concettuali che andassero oltre la mera contrapposizione vecchio/giovane interna al partito.

«La rottamazione non finisce col passo indietro di D’Alema. Anzi, comincia adesso. Per superare un vecchio modo di fare politica, i Fiorito e i Formigoni, per rottamare il clientelismo, la corruzione, ecc.» Questo avrebbe dovuto dire Renzi per non farsi dettare l’agenda e la strategia da D’Alema. Per non derubricare tutta la sua narrazione ad una contrapposizione personale con questo o quel leader del suo partito. Per non restare schiacciato dalla sua stessa creatura.

La forza della sua strategia consisteva proprio nel saper cogliere e cavalcare un’istanza di cambiamento richiesta a gran voce a trecentosessanta gradi: nella politica, nelle istituzioni, nelle imprese, nella società. Non nel voler mandare a casa D’Alema, Veltroni, Finocchiaro, eccetera eccetera.
È questa la sfida di Renzi se vuole dimostrare di essere, più che un rottamatore, un vero leader.

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