Vi ricordate gli sganassoni che Bud Spencer e Terence Hill davano ai malviventi di Lo chiamavano Trinità? Ecco, assistere a un concerto di Franco Micalizzi potrebbe lasciarvi con le guance rosse se non si è preparati all’impatto con la sezione fiati della Big Bubbling Band del Maestro.
La sala Sinopoli dell’Auditorium Parco della Musica di Roma sabato sera era piena di appassionati di tutte le età per celebrare i cinquant’anni di attività del noto compositore romano. Un repertorio carico di nostalgia, con le migliori hit ripescate dalle colonne sonore di quei film che negli anni Settanta cambiarono le vesti ai western e ai polizieschi.
L’impetuosità dei suoi commenti musicali ha definito al meglio lo stile di quei film che fino a qualche decennio fa rimanevano negli scaffali Trash delle videoteche, ma che hanno rivisto la gloria grazie alla passione dei rapper di tutto il mondo e di Quentin Tarantino, che ha usato nel suo Death Proof il main theme di Italia a mano armata. Non che fossero passati inosservati quando uscirono nelle grandi sale all’inizio dei ’70.
Le composizioni del Maestro si andavano ad aggiungere a una serie di opere artistiche, da quelle letterarie a quelle cinematografiche, che in quegli anni, verso la fine dei Settanta, muovevano a suon di critica considerazioni del tutto ciniche verso una contemporaneità sociale e politica spesso sbagliata. Anche se non ci sono riferimenti agli avvenimenti storici di quegli anni, le musiche di Micalizzi sono la colonna sonora degli anni del Pulp, quelli dei Cannibali di Massimo Mattioli e Stefano Tamburini che con la loro rivista sollazzarono le menti dei più avversi. Frank Zappa ne è un esempio.
E pensare che il produttore di Lo chiamavano Trinità aveva dovuto lasciarsi convincere da Micalizzi per avviare la produzione di quel lungometraggio. Il successo del Maestro arrivò proprio con quel film, o meglio, con quel fischio ridondante che perpetua dall’inizio alla fine della traccia cantata allora da Lally Stott e rieseguita durante il concerto di sabato dal giovanissimo Mikee Introna.
Fagioli western, polizziotteschi e horror descritti da un sottofondo pulp con bass line singhiozzanti e fiati impetuosamente funk che si rincorrono a vicenda con le atmosfere più misteriose disegnate dal flauto traverso e il clarinetto, per poi tornare alle sparatorie della batteria e delle congas. Musica d’azione eseguita ad hoc dalla Big Bubbling Band, un complesso di ben 19 elementi: batteria, percussioni, basso, chitarra, tastiere ed effetti, piano, e poi la sezione fiati composta da sax, tromboni, trombe, flauto traverso e clarinetto provenienti dalle care bande “di paese” che Micalizzi benedirebbe volentieri. Tutti schierati davanti lo schermo su cui si alternavano le immagini di Tomas Milian da Il cinico, l’infame, il violento, La banda del Gobbo, stralci di film come Behind the door, Delitto sull’autostrada, il folk & vibe di Napoli violenta, fino ad arrivare al malinconico flicorno di L’ultima neve di primavera.
Un concerto presentato come fosse uno show itinerante grazie alle brevi introduzioni del Maestro che durante uno degli ultimi brani proposti, il famigerato Lupin III , si è concesso a un valzer con l’esuberante Morena Martini, giovane talentuosa dalla sister funk voice.
Per i nostalgici, una notizia rassicurante: lo scorso 2 Ottobre è uscito “Veleno“, l’ultimo album di Franco Micalizzi e la Big Bubbling Band che contiene 11 brani inediti. Avrà mantenuto la matrice pulp? Only a way to find out!