I cori offensivi degli ultras Veronesi all’indirizzo della memoria di Morosini, solo perché ha avuto come colpa quella di indossare la maglia dei rivali, non hanno scusanti. Ma la chiara presa di posizione dei tifosi Livornesi ieri al minuto di silenzio per il soldato ucciso in Afghanistan è un’altra cosa.
Dare le spalle non è la stessa cosa di fischiare o offendere. Dare le spalle non significa non rispettare, semplicemente non condividere. Significa non voler mettere le fette di bigottismo davanti agli occhi per cercare (in un minuto) di giustificare una morte assurda. Chierotti è il cinquantaduesimo soldato morto dall’inizio della missione in Afghanistan. Quasi un ora di silenzio, un ora che non può (e non deve servire) pulire la coscienza. Un silenzio che stona.
Peggio poi quando arriva il conformista di turno ad etichettare quella morte come quella di un eroe, di un salvatore della patria, dimenticando però che nel nostro paese c’è gente che esce di casa per andare a lavorare e non torna più. Che combatte una guerra giornaliera dove l’unico posto da occupare è quello dei vinti.
Certo l’abbiamo detto più volte: il calcio e gli stadi devono restare lontano dalla politica, lontano da altre questioni che presentano spigoli che non rimbalzano e se lo fanno colpiscono dritto ai testicoli. Sono d’accordo. Però la cosa deve cominciare dall’alto.