Prima di suicidarsi, la mattina del 30 maggio del ’94, a dieci anni esatti dalla finale di Coppa Campioni persa con il Liverpool, Agostino Di Bartolomei scrisse un biglietto: “Mi sento chiuso in un buco”.
Poche parole, come ci si può aspettare da uno abituato a parlare poco, ma più che sufficienti per dare un senso a quel gesto. Da tempo il capitano della Roma del secondo scudetto era andato a vivere nel paese della moglie, a San Marco di Castellabate. Lì in Cilento aveva aperto una scuola calcio e allenava i ragazzini. Lontanissimo dai riflettori della sua serie A, dai taccuini dei giornalisti, da tutto quello che fino allora era stato il suo mondo.
Proprio come il calciatore protagonista de “L’uomo in più” di Paolo Sorrentino, ispirato proprio alla sua figura, Di Bartolomei era stato allontanato dal calcio in malo modo.
Forse semplicemente perché poco propenso a conformarsi al calcio nuovo che in quegli anni si stava affermando. “Credo che già allora Ago avesse capito che qualcosa stava per cambiare. In peggio”, ha spiegato il figlio Luca in un’intervista a La Stampa.
Eppure i valori di Agostino Di Bartolomei farebbero bene soprattutto al calcio di oggi. Basterebbe attenersi a poche semplici regole, come quelle contenute nel suo “Manuale del calcio”, arrivato solo adesso nelle librerie (ed. Fandango). Una guida per piccoli calciatori, scritta pensando al figlio ma consigliabile a qualunque ragazzino che si sta avvicinando a questo sport.
Alcuni “comandamenti” del bellissimo decalogo che aprono il libro meritano di essere citati:
“Il calcio è un gioco di squadra, nessuno vince da solo, e il successo dipende da tutti, anche dalle riserve”
“Sii leale con l’avversario. Non entrare mai in campo con l’intenzione di fare male a qualcuno. E divertiti: il calcio è allegria”.
“Abbi il massimo rispetto nei confronti dell’arbitro e dei guardialinee. Ricorda che anche loro possono sbagliare. E accetta sempre le loro decisioni senza mai interferire”.
L’ultimo riassume l’intera filosofia del libro: “Ricordati che il calcio è semplicità”.
Nel resto del manuale c’è spazio per la storia del calcio, la tattica, gli allenamenti. Non si parla di sponsor o procuratori mentre ricorrono concetti passati di moda, come etica sportiva o lealtà nei confronti dell’avversario.
Scrive Gianni Mura nella sua prefazione al libro:
“Oggi che essere serio è quasi una tara, oggi che molti calciatori hanno più tatuaggi che idee (…) vorrei parlare della serietà nel calcio. Agostino Di Bartolomei era un calciatore serio, un vero professionista, e una persona seria. Non era isolato, ma in minoranza. Cresciuto sui campetti di Tor Marancia, nei musei d’arte moderna era come a casa. Non amava il lato caciarone del tifo e nemmeno gli eccessi. Non odiava la Juve, in un periodo di grande contrapposizione. Meglio cercare di copiare i lati buoni che odiare, diceva. Era un grande capitano. Una volta la fascia bianca si assegnava per motivi legati all’etica, all’ascendente sui compagni, al senso di responsabilità, alla correttezza nei rapporti con l’arbitro (…) I veri capitani possono morire o anche scegliere di morire, ma dimenticarli è impossibile”.