Irene Kung è prima di tutto pittrice. E quando si nasce pittori, la tentazione del pennello e l’amore per una certa materica pastosità non ci abbandona nemmeno nel momento in cui – come fa l’artista svizzera – si decide di utilizzare la fotografia come mezzo espressivo primario.
La mostra in corso alla galleria Valentina BONOMO Roma (Via del Portico d’Ottavia 13, ROMA) è un bell’esempio di questa ricerca a metà tra il pittorico ed il fotografico: il risultato è una serie di scatti che per alcuni versi mimano la corposità degli antichi dagherrotipi e per altri ci trasportano in una contemporaneità tanto inarrestabile quanto onirica.
Irene Kung non mira semplicemente a ricreare una patina d’antico – sarebbe in effetti uno sforzo poco stimolante. Piuttosto, fa entrare il contemporaneo nell’antico, in punta di piedi, avvolto in una leggera bruma rosata che contribuisce a fare da trait d’union tra i due piani spazio-temporali. La Jin Mao Tower di Shangai, un grattacielo modernissimo e altissimo che ammicca all’architettura aggettante delle antiche pagode, sta a fianco di volumi di età classica come la Goose Tower o come il laghetto artificiale, lungo e rettangolare, su cui si specchia la silhouette più orientale che si possa immaginare: un tempio taoista sul muro del quale si intravvede la sagoma di un albero.
Ma non è solo l’architettura a catturare la visione dell’artista svizzera. Di fotografia in fotografia la Natura sembra prenderle la mano ed insinuarsi, a tratti furtiva, nelle trame dei suoi negativi. Si è detto dell’ombra dell’albero sul tempio, ma poi ecco la pagoda interamente ricoperta di fogliame sino ad arrivare a Willow Tree, in cui il salice ha completamente sostituito – trionfo della Natura sull’umano – qualsiasi opera antropica.
L’idea di fondo che anima la Kung è quella dell’associazione di simili forme geometriche tra loro. Qualche anno fa aveva proposto la Piramide di Cheope e quella di Caio Cestio, oggi applica la medesima ricerca spaziale anche alla Cina che ci viene restituita in tutte le sue contraddizioni più recenti. Contraddizioni che però Irene Kung sembra quasi riuscire, complice la potenza dell’Arte, a sanare: il Water Cube di Pechino appare in una veste epica e monumentale che lo sottrae alla contingenza del momento per consegnarlo, insieme alle antiche pagode, ad un non-tempo della mente in cui la Kung ci attira immagine per immagine.
Ed in effetti è l’immobilità del tempo il comun denominatore di questa esposizione fotografica, una ricerca di straniamento che arriva a calare edifici notissimi in un limbo che è un non-luogo nel quale ci sembra di essere imprigionati. Ma poi, un elemento – piccolo o grande, ma pur sempre visibile – un totem, ci strappa al nostro viaggio onirico e ci riporta alla realtà. Esempio di questo risveglio è il drappo rosso steso tra le due ali di case che formano la strada principale della splendida città di Pingyao. Unica nota di “vero” colore in un’immagine che è tutta giocata sulla progressiva diluizione del cromatismo, quel drappo non può non ricordarci il cappottino rosso della bimba che, persi i genitori e ogni certezza, attraversa lo schermo in uno dei più noti fotogrammi del film Schindler’s List di Steven Spielberg.
Valentina Bonomo e Irene Kung ci propongono un viaggio sul filo dello spazio e del tempo ma anche un’indagine profonda ancorché visuale sulla natura dei nostri tempi.
VALENTINA BONOMO ROMA
Via del Portico d’Ottavia, 13
00186 Roma Italy
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fax: +39 0697603405
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