Per Lirio Abbate la Mafia in Sicilia si è astenuta non andando a votare in carcere: peccato che a Palermo non esistono sezioni “41bis” e i “picciotti” dietro le sbarre siano minoranza nell’isola.
Silenzio: parla Abbate (e Ingroia). La notizia sulla Mafia che a Palermo non è andata a votare ha fatto il giro dei Tg, nessuno escluso. Ne è rimasto pervaso pure Enrico Mentana che dal suo Tg ha definito “inquietante” questa notizia che al momento rimane priva di qualsiasi dato che la possa confermare. Come se non bastasse rilancia la tesi pure Antonio Ingroia: il cui status di magistrato della requirente antimafia palermitana dovrebbe aiutarlo, dati alla mano, a smentire ancora l’ennesimo falso “goebbelsiano” replicato via-via su internet ed approdato sulla stampa in ogni sua forma con l’articolo di Lirio Abbate pubblicato su L’Espresso. Ingroia cavalca pure la cosa andando oltre in una intervista rilasciata a Sky Tg24: prefigurando (ci risiamo) una nuova “aria di trattativa” della Mafia in vista delle prossime elezioni nazionali…
Chi ha dato origine alla leggenda, però, non ha fatto i conti con il rapporto tra popolazione carceraria, tipologie di reato e dati endemici di astensionismo nelle carceri che ormai durano da anni anche per via di un tortuoso percorso ad ostacoli che un detenuto deve affrontare per rivendicare il proprio diritto di voto dietro le sbarre.
Cominciamo subito con il ricordare a Lirio Abbate (e ad Ingroia) che a Palermo non esistono sezioni “41bis”, non solo al carcere Pagliarelli ma nemmeno allo storico Hotel Ucciardone. Piuttosto: non solo non ci sono sezioni “41bis” in tutti gli istituti di pena della Sicilia ma – come opportunamente ricorda il sovrintendente regionale alle carceri siciliane Maurizio Veneziano – non esitono sezioni 41bis da Lazio in giù. Va detto, peraltro, che la maggioranza dei detenuti in Sicilia sono per reati comuni non riconducibili al 416bis et similia (droga, scippi, rapine, violenza sessuale etc.) e che le carceri siciliane, come nel resto d’Italia, hanno pure una maggioranza significativa di extracomunitari: e non abbiamo ancora fatto la tara di chi, in virtù di alcuni dispositivi definitivi di condanna per reati gravi, ha perso “la capacità di agire” ergo ha oramai definitivamente perso il diritto al voto.
“In passato i detenuti facevano la fila per andare alle urne”. Si apre così la proiezione olografica di Abbate nell’articolo sui mafiosi che in carcere si sono astenuti, mandando chissà quale “segnale” (sempre ammesso, poi, che sia sistematicamente la Mafia a cercare la Politica e non viceversa).
C’è pure un “piccolo” particolare. Le urne vuote nelle carceri non sono un caso peculiare né di questi giorni, né delle passate tornate elettorali: e non sembra nemmeno a questo punto un riflesso “ad hoc” in virtù della candidatura di Crocetta in Sicilia. L’astensionismo record nelle carceri è una tendenza che va avanti da svariati anni. Lo spiega bene il deputato radicale Rita Bernardini che sul diritto al voto per i detenuti sta conducendo una battaglia parlamentare e legislativa partendo da un inconfutabile dato: tra i 30mila i detenuti con diritto di voto in Italia, ad aver esercitato il diritto-dovere nelle tornate elettorali nazionali del 2006 e del 2008 è stato soltanto il 10 per cento.
La corsa ad ostacoli per un detenuto che voglia esercitare il proprio diritto di voto, in virtù di una regolamentazione in vigore dal 1976, la racconta bene Rita Bernardini: “(1) per ogni tornata elettorale il Ministro della Giustizia deve fare una circolare a tutti i Provveditori regionali. (2) I Provveditori regionali devono poi mandare questa circolare a tutte le carceri una-per-una. (3) Una volta ricevuta, i direttori di ogni istituto, devono affiggere la circolare in tutte le sezioni circondariali per annunciare la tenuta delle elezioni e per indicarne la procedura. (4) Una volta affisso “il bando” il detenuto – ammesso (5) che sia riuscito a leggerla quella circolare – deve fare una “domandina” (6): una istanza al direttore del carcere in cui si trova recluso, manifestando la propria intenzione di recarsi alle urne del penitenziario. (7) Il direttore del carcere, una volta ricevuta la “domandina” dovrà andare a controllare lo status giudiziario del detenuto per certificarne l’esercizio del diritto al voto del recluso. (8) Una volta certificata la piena capacità di agire del detenuto, il direttore invia la richiesta al comune di residenza del detenuto (che quasi sempre non è lo stessa del carcere, financo fuori regione). (9) Il comune di residenza che a sua volta ha ricevuto il nulla osta della direzione, deve rispondere in un tempo utile entro tre giorni prima delle elezioni: (10) inviando la tessera elettorale del detenuto e iscrivendo l’elettore al seggio elettorale speciale previsto in carcere dopo averlo (11) cancellato dal vecchio seggio comunale a cui apparteneva quando era a piede libero, per evitare doppi voti”. Provate dunque ad immaginare l’esito-non-esito finale della “pratica”, ove solo riuscisse ad incardinarsi, per come stanno messe oggi le amministrazioni penitenziarie nei loro organici, nelle loro energie.
Che dire? Piuttosto che rispondere via twitter con un piglio che poteva risparmiarsi (”bravo Sergio, la Mafia non esiste”), il giornalista de L’Espresso ha preso (e dato) un abbaglio. Quella di Abbate (e Ingroia) sulla Mafia che si è astenuta per via di un inesistente voto in carcere, dati alla mano, rimane una proiezione olografica e – semmai una “trattativa” al momento esiste – è quella della Bernardini e dei radicali per consentire ai detenuti un diritto che comunque, piaccia o no, ai carcerati spetta: quello del voto. Se poi si scrivono le cose per avvalorare suggestive tesi abdicando alla verità, temo (spero di sbagliarmi) si rischi di solo di fare un favore ad una Mafia che al momento vede in Sicilia i suoi principali Boss assicurati nelle patrie galere del 41bis dal Lazio in su: ed è proprio da Roma in su, peraltro, che la Mafia sta facendo sudare freddo il Nord con la sua Palma di sciasciana memoria (se la memoria ha un futuro).
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