Non sono riuscito, mio malgrado, a vedere fino alla fine la bella trasmissione di Benigni sulla Costituzione italiana. Mi sono addormentato sull’articolo 7.
Non che l’abbia trovata noiosa. Tutt’altro. Semplicemente la stanchezza ha avuto il sopravvento.
Devo dire però che, al di là di qualche imprecisione, l’iniziativa mi è piaciuta molto. Il buon Benigni è uno che studia; dietro le sue parole c’erano spiegazioni e indicazioni di esperti.
Tra i vari riferimenti, ho apprezzato il richiamo alla “clausola di Ulisse” per spiegare il contenuto del secondo comma dell’articolo 1 (“La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”).
Quella del re di Itaca legato all’albero della nave, che ascolta il canto delle sirene mentre i suoi uomini continuano la navigazione con la cera nelle orecchie, è un’immagine classica usata dai filosofi per esprimere l’idea del popolo sovrano che si auto-limita. Un’immagine che il comico toscano ha saputo rendere con la semplicità e la chiarezza dei grandi.
L’episodio, accostato al tema dei limiti della democrazia, suscita interrogativi di formidabile portata: perché Ulisse vuole ascoltare il canto delle sirene? Curiosità? Sete di conoscenza? Necessità per il sovrano di guardare in faccia la realtà e di vivere nel mondo?
Le voci di queste creature promettono soluzioni troppo semplici a problemi troppo complessi e attentano alla stessa sopravvivenza della democrazia: cos’hanno esse di tanto attraente? E perché gli uomini preposti al controllo della saldezza delle funi che legano Ulisse all’albero (i limiti della Costituzione) non possono ascoltare quelle voci? I controllori possono fare bene il loro mestiere se rimangono sordi alle voci del mondo?
Merito di Benigni di aver sottoposto, per la prima volta, al vasto pubblico questioni tanto importanti per la nostra democrazia e per la nostra vita.
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