Il migliorabileCaro Babbo Natale ti scrivo; lettera dedicata a Marco Pannella, il più cristiano di tutti

“Venne fra la sua gente, ma i suoi non l'hanno accolto. A quanti però l'hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome” (Giovanni 1,11-12). Caro Babbo Na...

“Venne fra la sua gente, ma i suoi non l’hanno accolto. A quanti però l’hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome”

(Giovanni 1,11-12).

Caro Babbo Natale,

è tempo di andare verso il cammino dell’attesa, finiamo le ultime corse per completare i nostri doveri del 2012, poi da domenica ci dedicheremo a pensare solo all’uomo che ci ha cambiato la vita e dà senso alle nostre speranze. Quando si arriva a pochi passi dal 25 dicembre, per me che sono un piccolo cristiano delle valli valdesi riformate, viene spontaneo cercare le pagine di Giovanni, e lo è ancora di più dopo un anno personalmente molto difficile tra malattie, perdita improvvisa del lavoro, amici e fratelli cari che se ne sono andati, l’ipotesi di mollare tutto con il lavoro che amo di più, quello di scrivere, data la crisi dell’editoria e dei giornali, fino alla chiamata de linkiesta.it…

Nel vangelo secondo Giovanni non ritroviamo le note che ci sono familiari nel tempo di Avvento: qui non ci sono angeli che annunciano la nascita di Gesù né l’inno di lode di Maria, non ci sono i pastori con le greggi che si fanno guidare dalla stella fino alla mangiatoia, né i re magi che portano i loro doni. Il presepe non è di casa nella visione di Giovanni. Nel prologo del IV vangelo Gesù entra nella storia come Parola di Dio che si fa essere umano, parola incarnata. Gesù entra nella nostra storia come luce che rischiara il nostro mondo denso di tenebre.

Ecco, caro Babbo Natale, bastano le tante luci del Natale che decorano le nostre città e che illuminano le nostre case per allontanare le tenebre che ci circondano? Non sono le luci della spiritualità e della ricerca escatologica, a mostrare il mordente e a far dà specchio alla crisi di un modello economico che allarga le povertà, comprime i diritti e rende opache le prospettive delle nuove generazioni, trasformando il lavoro da diritto in privilegio? Cosa possiamo fare per trasformare le lucine di Natale dà semplici addobbi a scadenza, in richiami occasionali capaci di accendere speranze permanenti nei cuori degli uomini?

Il nostro paese vive un tempo difficile: preoccupazioni per il futuro delle nuove generazioni, per il lavoro che non c’è, per i servizi sociali che vengono smantellati, per i privilegi di una casta che fa pesare la crisi economica sui poveri e come se questo non bastasse, chi ha ingannato i cittadini per anni e anni dicendo che “tutto va bene madama la marchesa, i ristoranti sono pieni ohibò!” (così i falsi profeti nella Bibbia…), si ripresenta con un’artefatta vergininità mediatica per condizionare ancora il futuro di un paese ancora troppo suggestionabile dai pifferi dei demagoghi.

E’ in questa realtà che l’evangelo del Natale vuole portare un po’ di luce e una speranza. Una luce che vuole essere luce in noi e attorno a noi e dentro di noi ancor di più. L’evangelo, la buona notizia dell’avvento, ci raggiunge con quel raggio di luce che ci fa scorgere le ombre del nostro vivere quotidiano e ci invita a passare dalla parte della luce. Che cosa vuol dire? Giovanni lo esprime chiaramente con una parola che noi usiamo spesso: accoglienza. L’intero evangelo di Giovanni racconta di un Gesù rifiutato, osteggiato, abbandonato, e lo fa sin dall’inizio, appena ci parla del suo venire al mondo, un mondo nemico, di cui siamo parte. Non vi è spazio per l’accoglienza. Nessuno spazio? Per nessuno? L’evangelo è buona notizia e la buona notizia è che questa possibilità è il dono della fede. Credere in Gesù vuol dire proprio questo: accoglierlo come Signore nella nostra vita, e quando ciò avviene anche dentro di noi il gioco della luce e delle ombre esce dalla confusione e ci costituisce figli e figlie del Dio vivente. Il presepe che in Giovanni non c’è, non intende toglierci la gioia del Natale, vuole indirizzare il nostro sguardo verso quel mondo che rifiuta Gesù ma che Dio ama. Chi crede in Gesù segue le sue orme e la luce della fede lo conduce a praticare l’accoglienza (ricordate Gesù che lava i piedi ai discepoli?). Il Messia che non è stato accolto fra la sua gente insegna alla sua gente la pratica dell’accoglienza e dell’amore.

Caro Babbo Natale, se questo è il Natale secondo Giovanni, se l’amore di Dio che Gesù ci ha insegnato è soprattutto accoglienza del prossimo e perdono dell’errante, vorrei che tu, in un periodo in cui la politica del potere è in fibrillazione per le elettorali alternanze degli stessi sederi di sempre sulle sempieterne ed appetite poltrone di comando, illuminassi chi di dovere perchè la lotta non violenta del più cristiano dei nostri politici, per il senso di umanità e filantropia disinteressata che ha nutrito tutta la sua lunga testimonianza di uomo dalla coscienza cristallina e dall’infinita capacità di amore (ricordate i fischi e gli sputi che come un apostolo non violento andrò a prendere ad una recente manifestazione sindacale, da uomini in buona fede condizionati da un’informazione di regime?) porta i diritti umani nelle nostre carceri come in ogni ambito civile, dalle minoranze sociali agli spazi di accoglienza ai fratelli stranieri in cerca di pane.

Caro Babbo Natale, lo hai capito, questa lettera il piccolo cristiano valdese di Perugia la dedica a Marco Pannella, perchè posso immaginarmi immerso nei problemi più grandi nella vita ma non riesco a pensarmi privo di un uomo che non ha tradito mai, che c’è stato sempre quando ne avevamo bisogno e non ha mai avuto rancore se poi, come tanti, talvolta non gli abbiamo dato il voto.

tuo

Riccardo Migliorati

Perugia

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