«Ogni anno nuovo porta con sé l’attesa di un mondo migliore». Lo dice Benedetto XVI nel suo messaggio per la XLVI Giornata Mondiale della Pace, che il 1° gennaio prossimo consegnerà ai capi di Stato. Un mondo migliore, sogna il papa, senza fondamentalismi e fanatismi, in cui le religioni aiutino a «favorire la comunione e la riconciliazione» tra gli esseri umani.
Ma anche un mondo in cui la pace sia edificata su «principi» precisi e “non negoziabili”, ammonisce, che non fanno capo solo alle «verità di fede» promosse della Chiesa cattolica, ma che sono «inscritti nella stessa natura umana, riconoscibili con la ragione». Praticamente, una sorta di “dna morale”. «L’azione della Chiesa nel promuoverli – chiarisce – non ha dunque carattere confessionale, ma è rivolta a tutte le persone, prescindendo dalla loro affiliazione religiosa. Tale azione è tanto più necessaria quanto più questi principi vengono negati o mal compresi, perché ciò costituisce un’offesa contro la verità della persona umana, una ferita grave inflitta alla giustizia e alla pace».
Ad accendere il disagio di molti che hanno letto il messaggio, non è stata tanto l’arroganza del papa nel volersi porre come fonte di verità insindacabili anche per i non cattolici, quanto il successivo elenco di ciò che infligge “una ferita alla giustizia e a alla pace”. E in particolare il punto in cui afferma: «La struttura naturale del matrimonio va riconosciuta e promossa, quale unione fra un uomo e una donna, rispetto ai tentativi di renderla giuridicamente equivalente a forme radicalmente diverse di unione che, in realtà, la danneggiano e contribuiscono alla sua destabilizzazione, oscurando il suo carattere particolare e il suo insostituibile ruolo sociale». Tema ripreso il 21 dicembre nel corso dell’udienza alla Curia romana per gli auguri natalizi: «Nella lotta per la famiglia è in gioco l’uomo stesso», ha insistito il papa, a conclusione di un discorso in cui, rifiutando la teoria gender, ha affermato che «il sesso, secondo tale filosofia, non è più un dato originario della natura che l’uomo deve accettare e riempire personalmente di senso, bensì un ruolo sociale del quale si decide autonomamente, mentre finora era la società a decidervi. La profonda erroneità di questa teoria e della rivoluzione antropologica in essa soggiacente è evidente».
«È doloroso sentire dei distinguo così netti e radicali, che non danno speranza alle persone omosessuali, proprio da chi della speranza dovrebbe essere il primo alfiere». Così il gruppo romano di omosessuali e transessuali credenti, Nuova Proposta, ha accolto il passaggio di Benedetto XVI sulle «forme radicalmente diverse di unione», in cui emerge chiaramente «la negazione senza speranza della prospettiva di vita piena per le persone omosessuali e transessuali», nonché il misconoscimento dell’affettività «come patrimonio e valore per la società intera». Perché, si chiede Nuova Proposta, Benedetto XVI ha deciso di «inquinare» un messaggio per la pace con «indicazioni così nette, piene di esclusione, che non danno speranza» alle tante persone ancora oggi «vittime di odio, violenza e discriminazione» a causa del loro orientamento affettivo? L’amore di due persone, e il loro progetto di vita insieme, non provocherebbe alcun danno alla pace, anzi «immetterebbe nella società un surplus di energie vitali e positive altrimenti imprigionate in una vita di silenzio e negazione». L’omofobia nelle gerarchie cattoliche allontana «persone che spesso sono fratelli e sorelle nella fede in Cristo e aspettano da sempre che la Chiesa guardi a loro con umanità e accoglienza, ma un’accoglienza vera, quella che si mette in pratica guardando all’altro con gli occhi del cuore e non con quelli della legge».
Amaro anche il commento di Gianni Geraci (portavoce dei credenti omosessuali del Gruppo del Guado di Milano), che il 15 dicembre scorso ha scritto una Lettera aperta a Benedetto XVI. Secondo il papa, è l’interpretazione di Geraci, «la pace c’è solo quando si sentono come propri i bisogni e le esigenze altrui e si rendono partecipi gli altri dei propri beni». Una «stridente contraddizione» con il seguito, visto che Ratzinger invita i legislatori a non riconoscere formalmente le unioni omosessuali, per preservare pace e giustizia. E sembra far finta di non sapere che «i Paesi che più si adoperano per costruire la pace a livello internazionale sono quelli che, per primi, hanno adottato delle leggi che rendono il matrimonio “giuridicamente equivalente a forme radicalmente diverse di unione”». Inoltre, dice Geraci al papa, «quando critica le leggi che riconoscono le unioni omosessuali non fa riferimento al Vangelo, ma fa riferimento a quella che Lei considera una retta ragione che, però, più per ignoranza che per malanimo, in questo caso tanto retta magari non è».
E c’è un altro danno, ancor più grave, provocato dalle parole del papa: «Come la mettiamo con i tanti fanatici che nel suo articolato messaggio leggono solo una dura condanna delle leggi che riconoscono le unioni omosessuali e che, spinti dal loro fanatismo fanno poi di tutto per perseguitare le persone omosessuali?». Forse è il caso, suggerisce Geraci, che il papa cominci a conoscere un po’ più da vicino la realtà che condanna con tanta veemenza. «Si tratta di un invito che Le viene da un cattolico che Le vuole bene e che non vuole che, tra qualche anno, quando Lei si troverà di fronte a nostro Signore, venga interpellato per le conseguenze gravissime (in termini di discriminazioni, di sopraffazioni e di violenze) che possono avere le parole che ha scritto nel suo messaggio di quest’anno». Quando il papa, conclude, «parla di diritti delle coppie omosessuali non solo non segue una retta ragione, ma rischia di non seguire nemmeno il Vangelo».
Parole insensate e pericolose anche secondo un comunicato del 14/12 di Flavio Romani, presidente nazionale dell’Arcigay: il papa, scrive, «arma infatti gli omofobi di tutti i Paesi con un invito ad una crociata senza quartiere contro il matrimonio tra persone dello stesso sesso». La Chiesa cattolica continua a promuovere «una teocrazia che rincorre su questi temi il peggior integralismo», dimostrando tra l’altro «assenza di argomentazioni realistiche e sensate». «Benedetto XVI continua a rappresentarsi come un apostolo di ingiustizia, divisione e discriminazione ai danni delle persone omosessuali, lesbiche e transessuali», conclude Romani, ricordando che il 1° dicembre – proprio nei giorni del dibattito sul messaggio per la Giornata della Pace – il papa ha accolto una delegazione di magistrati ugandesi, capitanati dalla presidente del Parlamento ugandese, Rebecca Kadaga, ferma sostenitrice nel Paese africano di una proposta di legge “contro i comportamenti sessuali devianti”, che descrive l’omosessualità come «malattia mentale» e prevede la pena capitale per gli omosessuali “recidivi”. Il papa, dice Romani, «è tristemente coerente».
Pochi e maldestri i tentativi di salvare le intenzioni del papa. Secondo p. Federico Lombardi (direttore della Sala Stampa vaticana) il messaggio di Benedetto XVI è stato «travisato» e ne è stata data una «lettura parziale». Per questo, ha affermato, le reazioni sono state «scomposte e sproporzionate». Probabile, ma quel passaggio c’è, per quanto breve e disperso in un mare di buone intenzioni.
«Abbiate il coraggio di difendere i valori cristiani della famiglia», esorta il vescovo di Locri-Gerace, mons. Giuseppe Fiorini Morosini, Ma, a differenza di Ratzinger, afferma almeno che «le libere unioni di affetto tra le persone, anche dello stesso sesso, possono e debbono aver riconosciuti i loro diritti civili». “Ovviamente”, «senza che si pretenda che assurgano alla dignità di matrimonio e di famiglia».