La politica italiana, nell’ultimo decennio, ha dato dimostrazione di non essere nella condizione, culturale e materiale, di superare il complesso dell’analessi in cui tristemente giace. In cui si crogiola immobile e agonizzante.
L’analessi è la figura retorica della narrazione letteraria e cinematografica che, sebbene con le forzature di un’adesione imprecisa, meglio spiega la situazione di stallo attuale.
Invece di recuperare occasionalmente episodi o scorci del passato, come fa l’autore sapiente che vuole mantenere costante la tensione nello spettatore/lettore, sembra che la politica non riesca a superare le maglie di un passato, che è ancora Presente. Un equilibrio sconvolgente, che dura, si alimenta e si conserva, senza permettere a nessuno, che già non sia dentro, di penetrare la cortina impermeabile. Il passato che si barrica nell’ostinazione e nella convinzione supponente di essere l’unica risposta possibile ai mali del presente è causa stessa del male futuro. E spia di mancanza di democrazia.
L’illusione, la seducente e conturbante illusione, della vittoria di Matteo Renzi ha comportato, nelle scorse settimane, un’accelerazione improvvisa e inaspettata dei tempi della politica italiana e diffuso un seme di rinnovamento e ripensamento della qualità della stessa, che ci si augura germogli presto. Ma poche settimane sono davvero un tempo insufficiente per dotare gli italiani degli anticorpi necessari per reagire al passato, che avanza e torna a gran passo.
Il rischio è che nei mesi che ci separano dalle elezioni, gli unici in cui i giochi di fatto saranno aperti, si perda tutto. Che gli italiani dimentichino tutto, posti di fronte ad uno scenario immobile e già noto, rimanendo ancor più amareggiati.
Ci ha sedotto l’idea che la politica potesse cambiare, che potesse tornare ad essere partecipata e inclusiva, appassionante, densa di proposte concrete, tangibili. Insomma, che potesse riconquistare il terreno che separa e divide una conventicola, che gioca al Potere nel Palazzo, dai cittadini.
E oggi, il contrasto tra la perfida e bellissima aspirazione e un presente già passato è bruciante. Quasi irreale.
L’unica soluzione, l’unico strumento per spronare la classe politica a favorire il cambiamento, senza scuse né temporaggiamenti di sorta, è porre costantemente dinnanzi ad essa l’alternativa. Creare la concorrenza, che renda improrogabile una radicale rifondazione degli atteggiamenti e delle proposte e che faccia apparire questa classe dirigente per quello che è stata. Inefficiente, incapace, passata.
La proposta di Renzi non può sparire in un’infinita elaborazione del lutto. Per troppi anni le istanze degli sconfitti, ancorchè strategicamente e fattivamente migliori, sono state sopraffatte dalla ragione del più forte, depotenziate dalla ritrovata legittimazione del leader, che, in Italia, non sembra sostituibile.
Il sindaco di Firenze, ha una responsabilità interna ed esterna. Interna al partito, perché ha il dovere di dare voce, rappresentanza e forma al consenso di cittadini, che in lui hanno creduto e sperato, e che non voterebbero, allo stato dell’arte, ancora Pd. Esterna, perché deve rappresentare, in un centrodestra immobile e anestetizzato da un leaderismo non democratico, il pungolo e la tensione di rinnovamento cui approdare. Darebbe coraggio a chi pretende il cambiamento, ma tace, per paura di essere annientato dal leader che non ha mai voluto favorirne uno democratico.
Domenica scorsa, l’Italia è tornata nel passato e i fatti lo dimostrano. Questo silenzio assordante può solo nuocere ancora. Fino a far dimenticare l’uomo e le istanze di novità e innovazione di cui abbiamo bisogno.
Twitter@enricoferrara1