Mo Yan, “colui che non parla”, ha scelto questo pseudonimo tenendo a mente i rimproveri della madre perché parlava troppo, nel periodo cupo della Rivoluzione culturale.
Mo Yan è originario della regione orientale dello Shandong. Il nome del suo paese d’origine, Gaomi, anonimo fino a due mesi fa, è ormai familiare in tutto il mondo. Alla presenza della stampa mondiale e dei reali svedesi, Mo Yan ha portato a Stoccolma il sapore della sua terra di contadini, il carattere impacciato e il forte accento di provincia. E ha fatto quello che sa fare meglio e per cui è stato premiato: raccontare.
Alla notizia del Nobel, Mo Yan ha ringraziato per primi i suoi traduttori, “Grazie ai vostri sforzi nel corso di tutti questi anni ho conquistato una reputazione nel mondo letterario in Italia e anche in molti altri paesi. Se vinco il Nobel, il merito è vostro, dei traduttori”.
Quando a ottobre la commissione del Nobel ha annunciato la premiazione di Mo Yan, ci siamo subito messi sui microblog a leggere i commenti degli internauti cinesi a quella che ci sembrava una grande notizia.
Come commentava poco prima della premiazione Mai Jia, il “Dan Brown cinese”:
“Mo Yan è uno dei più straordinari scrittori cinesi viventi. Ha contribuito enormemente alla letteratura contemporanea”.
Oltre al giubilo della maggior parte degli internauti, per molti amplificato dalla vittoria sul giapponese Murakami, non ci aspettavamo di leggere anche spietate critiche e opposizioni alla decisione di Stoccolma.
Come il commento di Michael Anti, uno dei blogger cinesi più conosciuti anche all’estero:
“Mo Yan ha vinto il Nobel, è protetto dallo spirito di Mao Zedong? Quando ritirerà il premio ringrazierà il Partito e il presidente Mao?”
Ne abbiamo parlato anche col vignettista satirico che si nasconde dietro l’identità di Crazy Crab. Senza mettere in discussione l’autorevolezza dello scrittore, come altri blogger e attivisti in rete, Crazy Crab critica il silenzio di uno scrittore del calibro di Mo Yan sulla situazione attuale cinese.
Sarebbe a dire, il silenzio di Mo Yan sulla censura, l’obbedienza al regime e la recente riscrittura dei “discorsi di Yan’an” , che nel ’42 sancirono il modello socialista nelle creazioni letterarie e artistiche, ovvero che anche la letteratura doveva servire il popolo.
Mo Yan, secondo Crazy Crab e tanti altri, avrebbe dovuto cogliere l’occasione del Nobel per fare appelli al governo.
Si tratta delle stesse critiche mosse da giornalisti, intellettuali e lettori occidentali che sono arrivati a definirlo “lo scrittore del regime”.
Han Song, tra i più rinomati autori cinesi di fantascienza, ha commentato:
“Quando Gao Xingjian ha vinto il Nobel, dicevano che la letteratura è politica. Ora che Mo Yan vince il Nobel, dicono che la letteratura è separata dalla politica. La letteratura è una prostituta”.
@Aji_online ha invece ribadito il coraggio di Mo Yan per aver affermato che la Cina non esce affatto vincitrice da questa premiazione:
“Quando si parla di uno scrittore, nessuno parla di letteratura ma tirano sempre tutti fuori i grandi successi della nazione, o i soldi con cui ti puoi comprare una casa al quinto anello di Pechino. Mo Yan invece ha osato evidenziare: questa è la vittoria della letteratura, è la vittoria di una persona, non si tratta della vittoria di una nazione”.
O ancora @butrr su Twitter:
“La gente chiede a Mo Yan di rispondere a tutti i problemi a cui dovrebbe rispondere il Partito comunista cinese. Tutto quello che chiedete a Mo Yan, cos’ha a che vedere con lui? È un individuo, non un regime. Certo che il discorso di Pamuk al Nobel andava bene, perché le sue opinioni politiche non erano importanti, ci ha raccontato di sé stesso e della letteratura ed era sufficiente. Invece a Mo Yan tocca sopportare il sistema della censura, Liu Xiaobo…. tutte le domande non vanno bene, sembra proprio un segretario generale a cui è stato appena affidato un nuovo incarico.”
Mo Yan è una persona normale e un grande scrittore, distante tanto dai sostenitori del regime quanto dai dissidenti, uniche categorie cui siamo abituati da molta informazione sulla Cina.
Un cantastorie che maschera i potenti da animali e li fa parlare, che dipinge i funzionari corrotti come cannibali al tavolo delle libagioni. Uno scrittore che ha trasfigurato di grottesco l’ultimo secolo di storia cinese.
Continuiamo a leggerla questa Cina, a scrutarne le sfaccettature e i “caratteri”. È molto più complessa di quanto sembri.