Che cosa significa “islamizzazione”? E cosa intendono i vari giornalisti quando parlano di Sharī’a?
L’impressione è che questi termini vengano utilizzati spesso come spauracchio, dando a priori una connotazione negativa, senza realmente andare a fondo delle questioni, assai complicate, che ci stanno dietro. E spesso consapevolmente.
Premetto: con questo post non intendo certamente sostituirmi a qualche esperto, ma semplicemente dare uno spunto di riflessione.
Partiamo dalla Sharī’a: letteralmente significa
un «bacino d’acqua», dove si radunano quotidianamente gli animali per abbeverarsi, o la «retta via», come nel versetto Coranico: «Poi ti abbiamo posto su una retta via[Sharī’a] nei tuoi affari, dunque seguila e non seguire i desideri di coloro che non hanno conoscenza».
Dal punto di vista islamico, comunque, esso si riferisce al complesso generale delle leggi Islamiche rivelate al Profeta Muhammad, presenti nel Corano e deducibili dal modello di vita divinamente ispirato del Profeta stesso (chiamato «Sunna»). Oltre alla Sharī’a, si parla spesso anche di Fiqh, entrambi tradotti spesso come semplicisticamente “legge islamica”. Il Fiqh significa letteralmente «la comprensione corretta di ciò che viene inteso».
Da queste due definizioni, possono essere dedotte queste tre differenze:
1. La Sharī’a è il corpo delle leggi rivelate, che si trovano nel Corano e nella Sunna, mentre il Fiqh è il corpo delle leggi dedotte dalla Sharī’a, per coprire quelle situazioni specifiche non trattate direttamente dalle leggi shara’itiche.
2. La Sharī’a è fissa ed immutabile, mentre il Fiqh muta in accordo con le circostanze in cui esso viene applicato.
3. Le leggi della Sharī’a sono, per la maggior parte, generali; esse stabiliscono dei principi fondamentali. Al contrario, le leggi del Fiqh tendono ad essere specifiche: esse dimostrano come i principi fondamentali della Sharī’a dovrebbero essere applicati in situazioni contingenti.» (fonte: http://studi-islamici.blogspot.it).
Ma anche la Sharī’a ha le sue interpretazioni:
“Una legge, anche se di supposta matrice religiosa come la Sharī’a, non esiste senza un’autorità, un potere che la faccia osservare. E se le leggi variano da Stato a Stato, con esse variano anche le funzioni assegnate e svolte dalle (supposte) norme della Sharī’a” ( “Islam e diritti umani: un (falso?) problema, a cura di Mario Nordio e Giorgio Vercellin).
Quindi parlare tout court di Sharī’a, come parlare tout court di “mondo arabo”, è sbagliato: bisogna analizzare caso per caso. Ricordandosi che spesso sono gli uomini stessi che, in nome delle religione, si avvalgono di commettere atrocità che la religione stessa non permette, ma condanna aspramente. Vedesi, nel caso dell’Islam, il terrorismo (e qui molto da dire ci sarebbe anche sull’utilizzo improprio del termine Jihad, il cui reale significato è “sforzo” e non “guerra santa”). E di sicuro articoli con i titoloni “Tunisia a rischio di islamizzazione” o “approvata la costituzione con a base la Sharī’a “, e il cui contenuto ha ben poco di oggettivo e zero spigazioni, se non un ammasso di luoghi comuni, non aiutano.
Ma al di là dei significati, un’altra domanda sorge spontanea: perché questi Paesi non hanno il diritto di affermare nella LORO Costituzione, di essere dei paesi musulmani e di avere l’Islam come religione? Quando fino a poco tempo fa, in Europa, si spingeva affinché si riconoscessero le nostre radici cristiane? Perché questi Paesi non possono fare lo stesso, affermando di avere le proprie radici nell’Islam? Perché l’Islam viene visto a priori come qualcosa di negativo?
“I valori centrali dell’Islam sono la giustizia e la libertà personale. Senonché essi possono minacciare gli interessi economici dell’Occidente, come succede quando le società islamiche non si limitano a difendere i propri valori culturali ma tendono anche a un’indipendenza economica. (….) Certo è vero che alcuni gruppi islamici considerano l’Islam come un’antitesi dell’Occidente, ma ciò è dovuto soprattutto al sostegno che l’Occidente medesimo dà ad alcuni dei più dispotici regimi del Medioriente” (Heba Rauf Ezzat, assistente di Scienze politiche e attivista per i diritti delle donne, in “Sharī’a e diritti umani sono compatibili?” raccolto nel libro “Islam e diritti umani: un (falso?) problema, a cura di Mario Nordio e Giorgio Vercellin)
E siamo davvero sicuri che l’Europa e l’America, dopo il colonialismo, dopo aver appoggiato dittatori-bambocci per perseguire i loro interessi economici, possano permettersi di criticare i neogoverni nati dalla primavera araba? Un popolo che non ha mai davvero conosciuto la parola libertà, e ha sempre vissuto in contesti dittatoriali, non ha il diritto di poter scegliere come potere governarsi e poter scegliere anche un modello islamico? Ma l’Occidente pensa che solo il suo modo di governare sia corretto (e gli effetti delle varie democrazie sono sotto gli occhi di tutti….) e quindi mette la paura nei cittadini indicando la “deriva islamica”. Lasciamoli provare, lasciamogli il diritto anche di sbagliare, senza che ad ogni passo scattino allarmismi…
Un’altra cosa che manca, è la voce di chi, in prima persona, sta vivendo i cambiamenti, vedesi gli ultimi disordini in Egitto. Si scrivono articoli senza essere sul posto; certo, le redazioni hanno tagliato gli inviati ed è difficile avere fonti realmente dirette, eppure il web pullula di blogger che potrebbero spiegare la situazione vivendola sulla propria pelle.
Ma utilizzare questi spauracchi è il metodo più semplice per convincere i propri cittadini della necessità di un intervento militare. Nascondendo i veri interessi economici che stanno alla base.