Forse è stata una suggestione o, forse, qualcosa di più. Un ricordo di pagine lette, di vita reale e politica vissuta da altri. Di memorie, scritte e non più ricordate.
Oggi l’uomo che incarna Mario Monti, chiarendo, compatibilmente con l’ermetismo davvero poco improvvisato che lo pone, ibrido tra tanti, “anglo-democristiano”, me le ha ricordate. Quel suo volersi porre al di sopra delle parti, al di sopra della vile contesa politica, che contrappone interessi e pregiudizi a nobili intenti, rappresentando modello trasversale cui sempre riferirsi e rifarsi, me lo ha confermato. E chiarito il ricordo.
Aldo Moro, i cui insegnamenti con troppa velocità dimenticati, nella lettera a Benigno Zaccagnini, allora segretario della Democrazia Cristiana, del 24 aprile del 1978, lascia a sferzanti e dolorose parole il presagio di ciò che sarebbe stato. Di quello che avrebbe voluto rimanessero, non lui, così fervidamente cattolico da non dare importanza alla personificazione di una condotta, ma la condotta e la prassi stessa. Politica e umana.
“Io ci sarò ancora come un punto irriducibile di contestazione e alternativa, per impedire che della D.C. si faccia quel che se ne fa oggi.” Lettera di Aldo Moro a Benigno Zaccagnini del 24 Aprile 1978
Rileggendole, oggi, alla luce di quanto detto, ma soprattutto non detto, alla conferenza stampa di stamane, appaiono molte le similitudini, le somiglianze tra l’obiettivo di Aldo Moro di rendere, col sacrificio, la sua visione umana e politica modello trasversale e, mutatis mutandis, “l’agenda” programmatica che Mario Monti vuole ergere al di sopra della contesa, come monito e termine di paragone. “Erga omnes” valendo, con l’intangibilità e quasi la saccente presunzione della convinzione della perfezione.
Il presidente del Consiglio ha centrato l’obiettivo di smarcarsi dalle pressioni politiche, sia di chi lo voleva presente, sia di chi bollava come “immorale” una sua eventuale candidatura. Altresì ha evitato di aggravare le frizioni e gli attriti, che da giorni turbano i rapporti con il Quirinale.
Ci sarà, senza esserci. E viceversa. Manterrà, pertanto, il ruolo salvifico di unico vero modello riformistico, rappresentando così la novità più deflagrante dello stantìo e annoiato panorama politico elettorale italiano. A lui e a ciò che nel memorandum verrà scritto dovranno inevitabilmente rifarsi i partiti, per essere ritenuti credibili fuori e dentro l’Italia. Il solco del destino del paese sembra già tracciato. Forse irrimediabilmente.
E finirà per rappresentare, come ben altri prima di lui, un punto irriducibile di contestazione e chissà se non anche di alternativa.
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