Fa bene Gianantonio Stella a sollevare oggi sul Corriere della Sera il caso dei nostri parlamentari eletti all’estero (12 deputati e 6 senatori). Si tratta di vicenda che mescola il ridicolo al tragico, passando per inquietanti personaggi degni della commedia dell’arte. Ci basti un caso, quello del sen. Di Girolamo, entrato al Senato con 25.000 preferenze e da lì transitato direttamente al carcere. Uno che non solo si candida dichiarando il falso (non risiedeva all’estero prima delle elezioni 2008), ma che riesce nel capolavoro di dare un indirizzo belga di residenza semplicemente inesistente, forse proprio per non farsi rintracciare nemmeno da una letterina di auguri natalizi. Ora però il tema diventa serio per due motivi. Il primo è che lo scenario del nuovo Parlamento (e quindi del nuovo governo) è quasi esclusivamente dipendente dalla composizione del Senato, dove potrebbero risultare determinanti anche quei pochi seggi attribuiti all’estero. In secondo luogo perché l’esperienza passata è a dir poco spregevole, con buona pace dell’intento ispiratore del povero Tremaglia, per decenni sostenitore del l’opportunità di eleggere nelle comunità italiane all’estero alcuni membri del nostro Parlamento. Stella lo spiega con dovizia di particolari: l’esperimento è fallito miseramente, sia per la correttezza (mancata) nelle procedure di voto, sia per la qualità degli eletti. Ora però occorre guardare al futuro, ma, purtroppo, andremo a votare con le stesse regole del passato. Avremo quindi 18 persone elette all’estero, che dovranno essere indicate dai partiti in lizza. E qui veniamo al punto centrale. La politica si organizza bene solo se ha buoni partiti. Noi ne abbiamo di pessimi o evanescenti, quasi sempre liste ad uso e consumo di un capo. La questione è tutta qui: il meccanismo di elezione nelle circoscrizioni estere può funzionare, ma ad una sola condizione: i partiti debbono scegliere persone degne e autorevoli. Saranno capaci? L’esperienza passata dice di no. Un no grande come una casa.
20 Dicembre 2012