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Il Festival non si tocca. L'ipotesi che la Rai lo spostasse, con buona pace di Fabio Fazio, Luciana Litizzetto e Renato Zero, è saltata. Chissenefrega di elezioni politiche e par condicio: the show...

Il Festival non si tocca. L’ipotesi che la Rai lo spostasse, con buona pace di Fabio Fazio, Luciana Litizzetto e Renato Zero, è saltata. Chissenefrega di elezioni politiche e par condicio: the show must go on.

Ieri il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha dato il suo nulla osta alla proposta del Ministro dell’Interno, Anna Cancellieri: si voterà il 24 febbraio. La scelta di Cancellieri e Napolitano, però, aveva aperto una breccia nelle certezze del management di viale Mazzini. Le domande che si sono fatti in Rai sono state le seguenti: Fabio Fazio può reggere botta, per cinque serate, in un regime di par condicio? A cosa serve la Littizzetto se non si può parlare di politica? E ancora: a parte Renato Zero – che quasi certamente affiancherà Fazio e Littizzetto nella conduzione del Festival – quali ospiti si possono invitare senza correre il rischio di violare la par condicio? Le incognite erano e sono troppe.

Quello che invece è certo è che per la Rai il Festival vuol dire soldi. Tanti soldi. Mettere a rischio questa fetta di introiti è un rischio che nessuno si vuole assumere.

Questo Festival, dunque, dovrà fare i conti con l’incapacità italiana di fare una tv bella, divertente, provocatoria e non schierata. E’ la par condicio, bellezza. Questo la dice lunga su quanto il servizio pubblico, quanto il giornalismo politico, sia viziato da una partigianeria che giova solo ai partiti. Una partigianeria che questa perenne campagna elettorale ha già messo in mostra: in tv ci vanno sempre gli stessi, poco importa se Grillo è al 18% o se Giannino – per cui io parteggio – è al cinque. La cronaca si confonde al commento e, di fatto, il commento è ormai la vera notizia.

Forse, a questo punto, bisognerebbe fare l’inverso di quel che si fa: par condicio per tutto il periodo non-elettorale (quindi 4 anni e mezzo) e tutti liberi di dire il cavolo che gli pare nel periodo pre-elettorale. Anche perché solo uno sciocco potrebbe pensare che una sorta di consapevolezza politico-elettorale si formi esclusivamente nelle ultime settimane di campagne elettorali. Semmai avviene il contrario. E i partiti, che lo sanno, decidono palinsesti e parole chiave (ovvero valori culturali da trasmettere), in grado di preparare il terreno fertile in cui seminari valori e rancori da cui poi raccogliere voti. Ma questo è il servizio pubblico italiano, bruttezza. Chissà che privatizzare la Rai possa essere una soluzione per fare un salto di qualità.

Vito Kahlun

Twitter: @vitokappa

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