The ®esistance“Saving the face”: l’altro volto del Pakistan

Trentanove e ventitré. Diverse età, stesso amaro destino: un viso a metà. Quello di Zakia e di Rukhsana, due donne pakistane sfigurate dall’acido. Vittime della violenza barbara dei propri mariti....

Trentanove e ventitré. Diverse età, stesso amaro destino: un viso a metà.

Quello di Zakia e di Rukhsana, due donne pakistane sfigurate dall’acido. Vittime della violenza barbara dei propri mariti. Il movente? La richiesta di divorzio. Ebbene sì, Zakia e Rukhsana hanno avuto il coraggio di dire basta ai continui maltrattamenti presenti nella loro vita domestica. Ci hanno provato. Ma provare a volte non basta. A volte, purtroppo, si ottiene l’effetto contrario. E il prezzo da pagare diventa ancora più salato. Un affronto inammissibile nei confronti del consorte, l’uomo che non può subire un simile sgarbo da parte della “sua” donna. E, allora, scatta la vendetta, la punizione per aver cercato di mettere in discussione l’“unione”. Ed ora, le due donne si ritrovano con la parte sinistra del volto completamente dilaniata. E si fanno“voce” di un differente volto (svelato) del Pakistan, quello in cui, ogni anno, sono circa 150 le donne vittime di tale brutalità.
Quanto lavoro ancora da fare per portare le donne a una posizione di rispetto e di eguaglianza? In Pakistan. Negli altri paesi. Nelle loro case.

Donne che divengono le protagoniste di “Saving the face”, il documentario di Sharmeen Obaid Chinoy. Una pellicola di quaranta minuti in cui la regista pakistana racconta la battaglia medica e legale (oltre che psicologica) che Zakia e Rukhsana combattono ogni giorno.
Donne forti che rivelano al mondo il loro viso sfregiato. Dove il minus diventa un plus. La loro determinazione a sopravvivere, la loro vera bellezza. Il coraggio di denunciare, il loro “credo”. Il rispetto per sé stesse, la loro dignità.

“Saving the face”, il primo oscar in terra pakistana e, soprattutto, la consapevolezza del bisogno di “educare” la società a non rimanere passivi di fronte a tali atrocità. Dove, grazie ai “miracoli” della chirurgia estetica, ci si può, in parte, riappropriare dell’ identità (perduta). Il ritratto di un Pakistan che (forse) sta lentamente cambiando, dove le persone possono fare la differenza e dove le comunità emarginate possono cercare giustizia. (Proprio da poco, il parlamento pakistano ha approvato una legge per punire gli attacchi con l’acido. Un primo passo avanti).
Sharmeen Obaid Chinoy racconta, così, la possibile rinascita di chi lotta contro le apparenti insormontabili probabilità di risvegliarsi dal “coma”. Un percorso duro, un cammino in salita. Una strada, però, possibile. La prerogativa? Difendere la propria identità. Rischiare per un futuro migliore.

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