Sabato comincia il 6 Nations 2013, con il match tra Galles e Irlanda a Cardiff (seguirà Inghilterra – Scozia, mentre domenica è tocca all’Italia contro la Francia a Roma). Nuovo giro, nuova infornata di retorica sul rugby, mezzo utile per avvicinare altri potenziali tifosi alla palla ovale – tifosi, pessimo termine, sarebbe il caso di avere degli appassionati, il tifo va e viene, è labile. Siccome non è il caso di accodarsi al pensiero mainstream, si va controcorrente con una guida minima per sgomberare il campo.
Dicono che nel rugby non si discute la scelta arbitrale. Falso. Le decisioni degli arbirtri dopo tutto possono incidere pesantemente anche sull’esito di un match di rugby perché quando. Attenzione: qui non si afferma che gli errori di un giudice di gioco determini a priori il risultato finale, ma si sottolinea che quel risultato potrebbe risultare viziato dalla gestione dell’incontro. Il rugby è uno sport fatto di diverse regole che regolano diverse fasi del gioco, tra cui la mischia ordinata: i due pack si contendono il possesso e se l’arbitro non è in grado di amministrarla dall’inizio, può accadere di tutto (giocatori che non si legano correttamente, che spingono di traverso, mediani che introducono l’ovale come non dovrebbero…). E un fischio in mischia ordinata corrisponde ad un penalty, quindi la materia è molto delicata. La scelta arbitrale viene accettata, senza sceneggiate e strascichi, arrivare però a concludere che la prova arbitrale non è giudicata è un errore. Altrimenti, com’è che nel mondo rugbistico da parecchio tempo ci si interroga sul ruolo dell’arbitro?
Dicono che nel rugby si rispetti l’avversario. Vero. Dicono che nel rugby non si fischia l’avversario. Falso. Nel corso della Rugby World Cup 2011 i sostenitori neozelandesi hanno fischiato e sonoramente gli acerrimi nemici australiani (semifinale) e francesi (finale): attendevano di rialzare la coppa del 1987, avevano l’occasione di farlo nella propria isola, gli All Blacks ci sono riusciti, ma il pubblico di casa ha tradito un nervosismo enorme. Se poi si sposta lo sguardo in Francia e talvolta in Galles, quando un calciatore va per piazzare l’ovale tra i pali si leva il brusio di sottofondo degli avversari, come quando nella NBA il giocatore alla lunetta vede davanti a sé il canestro ed un levarsi di cartelli con la scritta “brick”, un invito chiaro e tondo a sbagliare. Esiste il silenzio religioso che si respira sui campi d’Irlanda, esiste lo spirito latino che trova terreno solido nel sud della Gallia, dove la concentrazione rugbistica raggiunge livelli elevatissimi (il pedagogismo esasperante che c’è in Italia, invece, porta lo speaker a ricordare ai tifosi di trattenersi dal compiere tale gesto).
A proposito d’irlandesi, questi maledetti. Sono dei maledetti furbacchioni, ne fanno di cotte e di crude e spesso la passano liscia. Mettono mani e piedi dove per regolamente non dovrebbero e soprattutto quando non dovrebbero, hanno un rapporto complicato con il fuorigioco, hanno una malizia quasi ineguagliabile e conoscono l’arte di innervosire la squadra opposta con tecniche raffinatissime. Sono insomma dei gran rompiscatole.
Intendiamoci: è tutto molto bello, molto epico, molto sportivo (tra sport e gioco c’è differenza), ma per esigere il rispetto degli avversari è necessario conoscere il nemico. Britannici e celtici non sono sempre il massimo della simpatia (la sbruffonaggine transalpina ha i suoi motivi d’esistere dettati dalla storia), sono dediti al pragmatismo (il cucchiaio di legno non l’assegnano a chi è rimasto a secco di vittorie, ma all’ultimo classificato a prescindere dal ruolino di marcia) e si divertono a prendere in giro gli avversari. Dunque, farsi trovare pronti è utile ed istruttivo (cit.).
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