Proprio grazie a dieci anni di abbandono e di incuria nel bacino della Darsena a Milano si è insediata una natura pioniera, una colonizzazione che ha quasi del miracoloso, in una grande città: un verde che spunta dal nulla, su poca terra di riporto, che diventa rifugio per specie animali e vegetali per nulla trascurabili, un habitat di biodiversità.
Non stiamo parlando di erbacce qualsiasi ma piante pioniere, in gran parte autoctone, amatissime dai paesaggisti contemporanei: resistenti, rigogliose, di una bellezza selvatica, crescono generosamente e non necessitano quasi di manutenzione, si radicano e favoriscono la rigenerazione dei suoli.
(tutte le foto sono di Delfino Sisto Legnani)
Ora che il cantiere della nuova Darsena vorrebbe partire in tutta fretta per esser consegnato in occasione dell’Expo 2015, su progetto dello studio Bodin & Associes uscito vincitore dal concorso di idee durante la giunta Moratti, il Comune di Milano ha dato incarico ad AMSA di ripulire l’intera area senza prima condividere il progetto con cittadini e associazioni, invece di aprire il dibattito e il confronto su un’area così cara a tutti i milanesi.
Tra tutte la questione più scottante è quella dell’oasi, questa riserva di natura che si è formata spontaneamente ma che da un momento all’altro potrebbe essere, letteralmente, spazzata via dall’AMSA, come un rifiuto, animali (in letargo) e tane comprese – dichiarano svariate associazioni animaliste – nonostante regolamenti specifici tutelino flora e fauna, spontanee e autoctone, in città e in tutto il territorio lombardo. L’oasi è una sctriscia di terra lunga centocinquanta metri e larga quattro, lontano dalla riva e inaccessibile – per questo cresce bene! – e a quanto affermano membri e consulenti di Darsena Pioniera, i più agguerriti difensori dell’oasi e favorevoli al suo consolidamento, non intralcerebbe nè i lavori del cantiere nè la navigazione futura della Darsena.
I contrari all’oasi vorrebbero una Darsena che ritorni ad essere il grande porto di Milano? Se sono fortunati, e l’acqua ci sarà tutto l’anno, alla meglio potranno vedere qualche barchetta di turisti scorrazzare tra traffico e smog – non sarà mail la Darsena il Wansee di Berlino – e barconi finto-vintage che si trasfomeranno di lì a poco in avamposti della movida, e forse solo qualche curioso canottiere, accidentalmente, si spingerà fino a lì. Ma soprattutto non ci sarà un filo d’erba ad interrompere l’impianto scenografico del nuovo progetto. Forse la vegetazione spontanea inquina – chi lo avrebbe detto – anche solo la vista da cartolina della Darsena recuperata?
Come all’estero anche qui forse la natura, soprattutto in città, dovrebbe essere un valore indiscutibile, tutelata e protetta; la presenza di piante e specie animali è inoltre un segnale evidente che quell’ambiente, in fondo, è sano – bioindicatori? – abbastanza da ospitare altra vita rispetto a noi esseri umani, che di fatto finiamo spesso per comprometterla con il nostro intervento.
Dopo l’assemblea di mercoledì sera al C.A.M. Scaldasole c’è un incontro stasera venerdì 25 alle ore 21 alla ex-Fornace in Alzaia Naviglio Grande, con rappresentanti dell’amministrazione e progettisti, aperto al pubblico: per discutere e per capire, direbbero gli esperti di progettazione partecipata.
“Assecondare il più possibile, ostacolare il meno possibile” la natura, scrive nel suo Manifesto del Terzo paesaggio il paesaggista giardiniere Gilles Clement, tanto citato quanto poco letto. Che sia un buon punto da cui far ripartire il ragionamento sul futuro delle nostre città?
E anche sui luoghi e la loro identità presente e futura: non evolvono forse anch’essi coi tempi? E forse quei luoghi non potranno mai più corrispondere all’immagine che abbiamo in memoria, di tempi passati e ormai lontani, e inevitabilmente – è naturale – non torneranno così come ce li ricordiamo.