Nei giorni scorsi la mia attenzione è stata catturata dalla diatriba lessicale sollevata dall’Avvocato Giulia Bongiorno in tema di linguaggio. Vi riporto alcuni dei post e relativi link, così potrete meglio apprezzare anche tutte le risposte che sono state date.
facciamo un elenco di tutte le parole che vengono storpiate al femminile #controllora
Ne è nata una tranquilla (veramente, lo giuro!) discussione in famiglia con la mia dolce metà, e questo post a quattro mani.
Io credo che la questione linguistica (al di là delle regole grammaticali), che per l’Avvocato Bongiorno è fondamentale, vada distinta in due sottoinsiemi.
Il primo riguarda i titoli: avvocato/a, ingegnere/a, assessore/a etc etc. Sinceramente lo ritengo assolutamente un falso problema, nel senso che non è usare il femminile che scredita, ma il tono con cui viene detto. Chi vuole dileggiare o punzecchiare utilizzerà avvocato con lo stesso tono dispregiativo con cui utilizza avvocata. Chi porta rispetto lo farà sia utilizzando avvocato che avvocata. E chi ascolta lo capisce benissimo. Anzi, utilizzare il femminile è un valore aggiunto, perché rinunciare ad una propria specificità? Diciamo che sposo la posizione di Chiara Bisconti:
Ben diverso il secondo sottoinsieme, diciamo dei luoghi comuni, che esemplifico con questo post, ma che ha una vasta gamma di varianti, anche queste facilmente riscontrabili nelle risposte:
Qui entriamo nel vivo del problema, che è essenzialmente culturale, e che richiede pertanto una battaglia quotidiana. Questa battaglia, vorrei permettermi di dire all’Avvocato Bongiorno e a tante altre donne, non la dovete combattere da sole. Volenti o nolenti avete bisogno degli uomini, e spiego subito in che senso.
Quello che manca è il rispetto, senza tanti giri di parole. Se un uomo non lo impara, utilizzerà dapprima il linguaggio in maniera da ferire le donne, fino ad arrivare a degenerazioni ben peggiori. Per imparare il rispetto ci vuole l’educazione e l’esempio. Faccio un riferimento autobiografico. Mio padre pochissime volte si è arrabbiato con noi figli. Una di queste quando abbiamo mancato di rispetto a nostra madre. Ma la sgridata in sé non avrebbe avuto nessun effetto, se non fosse stata supportata dall’esempio quotidiano che ci ha sempre dato. Oggi io quel rispetto lo porto a mia moglie e lo insegno ai miei figli.
Ma non basta. E qui interviene la dolcemetà: le madri devono crescere i figli facendo capire loro che non tutto è dovuto, altrimenti potrebbero un giorno pretenderlo dalla futura compagna. Ed invece oggi, anno 2012, si sente di madri che accudiscono i figli alla stregua di colf pur di assicurarsene (sbagliando) l’affetto, fino al punto di incitarli a “castigare” (sic!) la ragazza di turno.
Questo non significa che da una famiglia modello escano sempre dei santi, e viceversa da situazioni meno lineari dei dannati, perché poi le persone e le storie sono individuali, ma in generale lo sforzo deve essere quello di educare da subito al rispetto reciproco.
Questo post non ha volutamente affrontato temi come discriminazioni su lavoro e maternità perché meritano eventualmente discussioni apposite, ma solo mettere in chiaro quale sia la base su cui costruire tutto il resto.
Pochi giorni fa girava questo aforisma di Rita Levi Montalcini:
“Se istruisci un bambino avrai un uomo istruito. Se istruisci una donna avrai una Donna, una famiglia e una società istruita”.
Io, con tutto il rispetto, credo sia limitativo. Deresponsabilizza l’uomo. Ed invece Società, famiglia, uomini e donne (ebbene sì, anche loro) sono migliori se le cose si fanno insieme.