Peppino Caldarola esalta nel suo blog “mambo” la sobrietà di Bersani, presupposto serio ed essenziale per chi si appresta ad assumere la guida dell’esecutivo. Il tema è importante e bene fa Caldarola a metterlo sul tavolo, proprio perché nei prossimi anni la sfida per governare l’Italia sarà estremamente impegnativa e la scelta “low profile” del segretario PD suona positiva, costruttiva e foriera di buoni risultati.
C’è però un punto su cui vorrei attirare l’attenzione dello stesso Caldarola e di tutti quelli che hanno la bontà di leggerci da queste parti. Si tratta del rapporto, complesso e contorto, della sinistra italiana con l’esercizio del potere. Un rapporto che deve essere analizzato innanzitutto partendo da una constatazione di carattere storico: la sinistra non ha mai vinto le elezioni negli ultimi cento anni.
La storia italiana può essere infatti divisa in tre periodi, iniziando subito dopo la conclusione della prima guerra mondiale. Nel primo periodo domina il dittatore Mussolini. Le elezioni non si svolgono e i migliori uomini della sinistra si oppongono al dittatore pagando con il carcere e, spesso, con la vita la loro scelta di democrazia.
Nel secondo periodo domina la Democrazia Cristiana, unico vero partito-Stato della Repubblica. La sinistra è sempre all’opposizione (tranne il breve governo di solidarietà nazionale a fine anni ’70) e addirittura le viene fatto il più offensivo degli oltraggi: il partito socialista, che rinasce dopo la guerra fiero avversario della Dc, stringe un patto di governo trentennale con lo Scudo Crociato, un patto che inizia a metà degli anni ’60 e finisce nel ’93.
La terza fase è quella che va sotto il nome (falso) di Seconda Repubblica. È dominato dalla figura di Silvio Berlusconi, che vince tre volte (su cinque) le elezioni, mentre una strana coalizione guidata da un democristiano doc come Romano Prodi vince (o quasi) nelle altre due occasioni. Certo, con Prodi molti uomini di sinistra vanno al governo. Poi D’Alema fa il premier (ma lo porta Cossiga a palazzo Chigi, un altro Dc di razza purissima), Napolitano va addirittura al Quirinale. Ma in nessun caso si tratta di affermazioni elettorali di sinistra, che possiamo trovare solo andandole a cercare in ambito locale (Pisapia e Vendola per fare esempi recenti).
Perché ricordo questi fatti? Per una ragione molto semplice, che ritroviamo in un atteggiamento ricorrente nella sinistra italiana: la demonizzazione dell’avversario. Nel caso di Mussolini le chiacchiere stanno a zero. Un dittatore sanguinario non merita sconti, anche se i suoi quartieri sono ancora in piedi e i treni arrivavano puntuali. Nel caso della DC il tema si fa complesso, poiché buona parte dell’atteggiamento della sinistra della cultura, dei giornali, dell’arte e del cinema andrebbe ferocemente censurato, potendolo rileggere oggi con l’occhio della storia. In realtà quella demonizzazione era figlia della incapacità di accettare l’evidenza: la Dc prendeva più voti del Pci.
Anche nel caso di Berlusconi il tema si fa complesso. Certo, il Cavaliere non si è risparmiato nel fornire spunti ai suoi critici. Ma nessuno può negare che tutta la comunità che conta della sinistra italiana lo considera un usurpatore, anche quando vince le elezioni. Tanto è vero che, nella sostanza, si è finiti per demandare alla magistratura il ruolo del vero oppositore al Mostro di Arcore.
E qui veniamo a Bersani. Il volto allegro e serio del segretario del Pd e la sua linea di campagna elettorale pacata significa che la sinistra italiana è pronta a governare da sola reggendo tutto il peso (e le ambiguità) dell’esercizio del potere, senza dilaniarsi come accaduto nel 1998 e nel 2007? Ad ascoltare Bersani parrebbe di si. Poi però arriva (oggi) una conferenza stampa di Vendola, con parole non proprio lusinghiere dedicate al premier Monti. Io la risposta non ce l’ho. Forse il mio amico Caldarola si. Lui la sinistra italiana la conosce certamente meglio di me!