Roberto Arditti, in un post di ieri, ha dato la sua interpretazione del passaggio storico che è di fronte alla sinistra con due punti fermi, a suo parere. Il primo è la constatazione che la sinistra non ha mai vinto le elezioni, la seconda che ha sempre demonizzato il suo avversario.
Il primo dato non è vero, ovvero è discutibile. La sinistra nell’ultimo trentennio ha vinto due volte. La prima con Prodi, la seconda ancora con Prodi. Nel ’96 il Pds riuscì a combinare con sapienza chirurgica, come dice Massimo D’Alema, la scomposizione del fronte avversario sottraendo la Lega a Berlusconi e conferendo la propria forza a un candidato “tecnico” di area cattolica, cioè Prodi, privo di voti. Tuttavia di vittoria della sinistra si deve parlare almeno in due sensi. La strategia vittoriosa si avvalse dell’abilità politica di D’Alema di smontare la macchina avversaria e dell’intuizione veltroniana del nuovo centro-sinistra.
La vittoria politica e culturale della sinistra venne poi contestata dagli ulivisti radicali che pensarono, all’indomani del voto, che i partiti fautori del centro-sinistra, ma soprattutto il Pds, dovessero diventare da forza trainante della coalizione in struttura servente. Il Pds cercò invece con D’Alema, e in polemica con gli ulivisti radicali, di trasformarsi in un moderno partito socialista. Poi D’Alema lasciò l’impresa e andò alla Bicamerale e successivamente divenne premier alla caduta di Prodi. C’è una ricostruzione per tanti aspetti inedita nel libro che uscirà dopodomani in cui D’Alema spiega quel che è accaduto. Comunque di vittoria si trattò. Una vittoria che aveva radici culturali nel passato in quanto privilegiò il rapporto con l’ala cattolica democratica, esaltò le alleanze, fino a Lamberto Dini, rinunciò al ruolo di leadership fino alla caduta di Prodi.
La seconda vittoria ci fu nel 2006 nel clima culturale del nascente partito democratico che D’Alema accettò di costruire e Veltroni si accingeva a dirigere. Anche qui la sinistra compì un’operazione politica in quanto mise la propria forza a disposizione di un progetto più largo rinunciando a se stessa in nome dell’unità di tutti i riformisti. Non a caso il leader fu Veltroni. L’ex sindaco di Roma è stato costretto al ritiro ma il suo tragitto politico-culturale merita di essere valutato con maggiore serenità. Veltroni ha una debolezza di carattere, non regge l’impopolarità e le sconfitte, e un certo cinismo nella gestione delle persone, a dispetto dell’immagine buonista, ma ha una coerenza politica rara nel panorama degli attori della vita pubblica. Dopo il Pci si assestò lungo la linea del superamento della sinistra comunista e socialista e proclamò il tempo dei progressisti. Il centro-sinistra è più suo che di Andreatta. Il Pd è più suo che di Prodi. L’attuale Pd bersaniano, leader di una coalizione a vocazione maggioritaria, in cui il partito principale fa convivere la sinistra più gauchista con gli uomini di Confindustria, è farina del suo sacco.
Arditti pensa invece che la sinistra debba essere quella roba che descrivono i suoi avversari, cioè un aggregato classista e statalista, un mix di Mitterrand e Altamirano, il leader sfortunato e sciagurato dei socialisti cileni. La sinistra a cui pensiamo oggi è invece un partito progressista, europeista, sostenitore di un nuovo Welfare, che ha attenzione alle opportunità e mette l’accento sui meriti.
Siamo appena agli inizi di un percorso che ha in sé molte contraddizioni. La principale è che, pagando un prezzo a Fioroni e company, questo partito non fa parte della famiglia socialista europea mentre tutti i conservatori cercano di entrare nel partito popolare europeo.
Questa sinistra demonizza l’avversario? L’ha fatto e ciò le ha impedito di vedere il carattere di popolo del berlusconismo, come oggi le impedisce di vedere e capire la risalita di Berlusconi. Ma la sinistra è stata anche lungamente demonizzata. Settant’anni e più di anticomunismo sono l’eredità feconda di tutti i movimenti di destra, come ha ben capito il Cavaliere e come penso immagini anche il Professore. Abbiamo, come sinistra, dato colpi sotto la cintura ma quanti ne abbiamo avuti!
La scommessa di Bersani, come si è visto ieri in tv dalla Gruber, è dare struttura a una forza che vuole rassicurare con solide intenzioni riformiste. Lo ripeto a scanso di equivoci. Non sono un fan di Bersani, lo conosco poco, non gli sono amico. Penso anche che lui più di altri segretari del Pd sia chiuso nel suo staff e alla lunga questo emergerà come un dato negativo che appesantirà le sue ali nel volo. Ma Bersani è la sintesi perfetta delle cose buone di D’Alema e Veltroni.
Dal primo ha tratto il tema delle alleanze, della non sottovalutazione dell’avversario, della necessità di scompaginarne il campo, del secondo ha preso l’ispirazione del partito a vocazione maggioritaria che è casa di tutti i progressisti. Non so se riuscirà nell’impresa. Mi accorgo che tutti coloro che lo hanno ritenuto in questi anni incapace al ruolo oggi si rendono conto che, senza una gioiosa macchina da guerra, sta portando la sinistra al governo con piena assunzione di responsabilità.
Male che vada passerà alla storia come quello che ha mandato in soffitta l’infausta teoria dei figli di un dio minore. Cosa buona per la sinistra e per il sistema politico italiano. Cioè lui riuscirà là dove D’Alema e Veltroni non sono riusciti. È il loro erede ma sta mostrando proprie qualità personali.