Che tempio fa«Di nuovo la malattia del potere»: la Chiesa di base critica l’appoggio ecclesiastico a Monti

 Il più incisivo è stato don Franco Corbo, parroco a Potenza, che in un commento sul blog di don Franco Barbero ha sintetizzato: «Dopo le benedizioni a Berlusconi ora arrivano anche le benedizioni ...

Il più incisivo è stato don Franco Corbo, parroco a Potenza, che in un commento sul blog di don Franco Barbero ha sintetizzato: «Dopo le benedizioni a Berlusconi ora arrivano anche le benedizioni a Monti. Non si possono fare paragoni. Ma la malattia è sempre la stessa: il potere!».

Nel complesso, però, non sono state numerose le voci che, subito dopo le parole di sostegno a Monti da parte del Vaticano e della Cei, si sono alzate dalla base cattolica per commentare, criticare o riflettere sull’appoggio piuttosto spinto delle gerarchie ecclesiastiche alla “salita in politica” del professore. «Sembra prevalere il disinteresse», nota Marcello Vigli, delle Comunità cristiane di base italiane.

Fra i pochi ad esprimersi è il movimento Noi Siamo Chiesa, con il suo coordinatore, Vittorio Bellavite. «Forse ci siamo troppo abituati agli interventi nella politica italiana della Segreteria di Stato e della Presidenza della Cei», dice Bellavite. «Questa abitudine non può però farci stare sempre zitti», per cui «ci permettiamo di obiettare». Le gerarchie ecclesiastiche, afferma, «dovrebbero avere il mandato evangelico di invitare a un impegno civile positivo, alla solidarietà a favore degli ultimi, all’intervento a favore di una politica di disarmo e di pace, alla difesa della democrazia, alla tutela dei soggetti più deboli e di ogni forma di vita famigliare, alla difesa dei beni comuni. La gerarchia non ha però il mandato di sponsorizzare in campagna elettorale questo o quello, con l’obiettivo non dichiarato di intrecciare poi rapporti di scambio nel corso della legislatura. Questo tipo di interventismo episcopale è anche censurabile sotto il profilo degli stessi patti concordatari e delle reciproche “indipendenze“ e “sovranità” previste dalla Costituzione nei rapporti Stato-Chiesa cattolica».

Insomma, sintetizza, «il Vaticano ha perso l’occasione di stare zitto». «Questo nuovo orientamento politico dei vertici ecclesiastici – spiega Bellavite –, per il momento e per il modo con cui è fatto, non pensiamo che possa essere molto credibile e quindi efficace sia nei confronti della vasta area dell’astensione dal voto e della protesta presente anche nel mondo cattolico, sia nei confronti dell’orientamento di voto, sia nei confronti di un ipotetico rilancio di un partito unico dei cattolici. Ci sembra piuttosto esprimere, in uno scenario mutato e a prescindere dai valori evangelici, la volontà di riprendere la politica dei veti, delle “campagne”, della difesa e delle pretesa di privilegi che hanno caratterizzato la stagione del ruinismo». Pertanto, chiede Noi Siamo Chiesa, «ancora una volta ci troveremo di fronte a pastori il cui magistero sarà da disattendere per essere conseguenti con la nostra fede? Fino a quando?».

Sarebbe finalmente ora che «tanti cattolici, organizzati e no», «non solo non nascondessero il loro dissenso, se non condividono le iniziative delle gerarchie, ma lo traducessero in concreto costante impegno per privarle di quella sovranità che politici rigorosamente non credenti, atei dichiarati o comunque non cattolici le hanno riconosciuto con il Concordato del 1984», scrive Marcello Vigli in un commento pubblicato su Italialaica. «A dar forza alle gerarchie ecclesiastiche infatti hanno contribuito e contribuiscono quei partiti che pur proclamandosi “laici”, subiscono senza protestare interventi nella politica italiana della Segreteria di Stato e della Presidenza della Cei, riconoscono privilegi e concedono favori, e, peggio, subordinano la legittimazione di sacrosanti diritti alle rivendicazioni ecclesiastiche a difesa dei valori non negoziabili», nota l’esponente delle Comunità di base che, per continuare il suo ragionamento, fa riferimento ad una “Amaca” di Michele Serra uscita su Repubblica (29/12): «L’appoggio delle autorità ecclesiastiche all’ingresso in campo di Monti non merita troppe polemiche, scrive Michele Serra su la Repubblica, suffragando la sua tesi con il riconoscimento che da tempo, l’opinione di pochi, anziani prelati non rappresenta neppure alla lontana la varietà di opinioni, di culture e di esperienze sociali del mondo cattolico e che comunque la loro opinione, per la sua inamovibile faziosità, ha perso di credibilità: la Cei “montiana”, fisicamente le stesse persone, è la stessa Cei che fu “berlusconiana”, e la distanza tra i due è così abissale da strappare un sorriso», annota Vigli.

«C’è da augurarsi che questa interpretazione non prevalga e che da parte delle forze democratiche che si oppongono a Monti si scelga la via della fermezza. Ci si augura che rilancino nei programmi elettorali, ma ancor più nella azione politica del futuro Parlamento, l’impegno a restituire alla Repubblica la sua dignità di Stato sovrano, ai suoi cittadini la piena disponibilità del loro diritto a determinarne le leggi, riducendo progressivamente i danni prodotti dal fascismo con l’introduzione del regime concordatario, appena scalfiti dall’imprudente mano tesa di togliattiana memoria, consolidati dalla prassi democristiana e resi permanenti dal cinico opportunismo craxiano. Determinante può diventare l’iniziativa dei cattolici che non vogliono ridursi ad essere di serie B nella Repubblica e nella Chiesa».

Don Andrea Gallo, della Comunità di San Benedetto al Porto di Genova, constata «dolorosamente l’appoggio e l’elogio solenne del Vaticano e della Cei all’Agenda Monti», ovvero il programma politico dei banchieri e della finanza internazionale, scrive sul Manifesto (2/1), mentre sull’Unità (28/12) l’ex presidente delle Acli Domenico Rosati stigmatizza: «Tutto il credito che può circondare l’operazione Monti, una volta stabilito che ad essa non compete il monopolio della qualità, non può abbagliare l’Osservatore Romano fino al punto da fargli ignorare che nella realtà italiana, ormai in modo stabile, una quota certamente maggioritaria dei cattolici praticanti orienta le proprie opzioni politiche a sinistra, e precisamente verso il Pd». «Non ne segue, come è evidente, una richiesta di speciale considerazione, ma non ci sarebbe da stupirsi se il fatto non venisse ulteriormente rimosso», continua. «Meglio dunque tener conto dei fatti nel momento in cui se ne prende cognizione, magari analizzandoli nelle loro cause remote e prossime, nonché nei valori che esprimono; e ciò non tanto per i fini della politica quanto per il bene del popolo di Dio. La prudenza, insomma, può suggerire i termini di sobrietà di un endorsement politico, non indurre ad alterare i termini della realtà».

E Franco Monaco, senatore Pd e impegnato nell’associazione Città dell’Uomo, su Europa (29/12), parla di «nostalgie democristiane delle gerarchie romane», che sembrano voler «sospingere indietro le lancette dell’orologio, pur dentro coordinate decisamente diverse». Ma si chiede anche «se alla svolta liberale delle gerarchie romane corrisponda la disponibilità a silenziare l’enfasi tradizionale sui principi non negoziabili posta sulle cosiddette questioni eticamente sensibili, delle quali non c’è traccia nell’agenda Monti. Sia chiaro: è buona cosa che si acceda alla consapevolezza che l’ancoraggio ai principi etici non esonera dall’esercizio della mediazione politico-legislativa dentro società democratiche e segnate dal pluralismo delle concezioni etiche. Solo rammentiamo sommessamente quanto il riferimento ad esse sia stato opposto allo schieramento di centrosinistra, nel quale si ama discutere, e per converso addotto a giustificazione del sostegno a un centrodestra non meno dominato».

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