Mercoledì e giovedì, come molti italiani, ho assistito alle performance di Berlusconi da Vespa e Santoro. Ero curioso in particolare di vedere all’opera quelli di Servizio Pubblico, finalmente in contraddittorio diretto con la loro musa ispiratrice. Ma l’esito delle due ore di trasmissione, unitamente alla performance di Vespa della sera prima, e alle svariate candidature di giornalisti nelle liste che si stanno approntando, mi ha in realtà portato a riflettere sullo stato del giornalismo in Italia.
Su come sia andata da Santoro e Travaglio, è già stato ampiamente detto tutto, perfino dai giornalisti stranieri. Tutti ad evidenziare lo spettacolo, lo show eppure non è stato solo questo. Due aspetti mi hanno colpito molto.
Primo, la cattiva costruzione giornalistica della puntata. Domande scontate, servizi mosci (addirittura sballati, tipo quello su Erdogan),ospiti che lanciano assist a Berlusconi (tipo imprenditrice Veneta). E’ questo il modo di incalzare il tuo avversario (anche se per la ventennale storia dei tre dovrei usare correttamente nemico), di dare forza alle tesi che sostieni da sempre?
Secondo, lasciare a Berlusconi essere il conduttore. Quasi subito tempi e modi della trasmissione sono stati dettati dall’ospite; per finire con la lettera a Travaglio, che (al di là del contenuto) ha riservato al giornalista il suo metodo in casa sua, con la reazione di Santoro che ha perso le staffe come ospite qualsiasi.
La sera prima da Vespa invece, situazione ben più usuale, ma un giornalista che così evidentemente si intende con un politico, fino a fargli da spalla in numerosi sketch, a me lascia più di una perplessità. E badate bene, credo che Vespa sappia fare il suo mestiere.
Infine, i giornalisti che scendono in politica. Dico subito che non ci trovo nulla di male (a differenza dei magistrati, ma è altro discorso), e che preferisco i giornalisti che dicono apertamente da che parte stanno. E se/quando torneranno al loro mestiere di partenza, sapremo eventualmente con che lenti leggere i loro articoli. E che apprezzo i giornalisti quando parlano chiaro, come fece Mieli nel 2006 con il suo celebre endorsement sul Corriere. Non lo condivisi nel contenuto, ma apprezzai molto il metodo.
Certo è che tutto questo porta ad una quadro sconfortante. Se quello che (a torto o ragione) è (era?) considerato uno dei migliori mastini della carta stampata si sgretola così alla prova del fuoco, se il giornalista numero 1 della rete pubblica ammiraglia fa la spalla di un politico, se un numero così alto di giornalisti si butta in politica io lo trovo un problema grosso.
Se a questo aggiungiamo l’uniformità imperante sulla carta stampata di temi e modi di trattarli dei maggiori quotidiani, lo scenario è sconfortante.
Il che non significa che manchino buoni giornalisti presi singolarmente, ma che il sistema non va. Io sono un semplice lettore, che da sempre ha il vizio di leggere più di un giornale e confrontarlo. Eppure raramente si esce dal seminato, talvolta perfino i titoli sono pressoché identici. Quasi del tutto scomparse le grandi indagini, i giornalisti paiono il più delle volte passacarte di magistrati od avvocati compiacenti. Non è questo che mi aspetto dal “quarto potere”.
Non so quindi se questo triste stato del giornalismo dipenda dal finanziamento pubblico, da un sistema che non premia il merito, da editori non proprio purissimi, dall’ordine dei giornalisti, da condizioni di lavoro precarie, da un livello di preparazione inadeguato.
Potrà cambiare qualcosa con la rete? Non so se potremo avere una risposta presto in tal senso, ma certo qualche sasso nello stagno è arrivato. Più fonti, più confronto, più controllo delle informazioni da parte degli utenti. Sta ai professionisti adesso trovare le risposte adeguate alle richieste di noi lettori.
Infine una provocazione: i due della foto, oggi, dove sarebbero e cosa farebbero? O se preferite, dove sono e cosa fanno?