#InnovazioniE se la Smartcity ci disegnasse una città alienante?

Una delle parole più usate nel 2012 è stata smartcity. Intorno a questa parola, di cui poco si conosceva prima dell'avvento del governo Monti, si sono sviluppati progetti, investiti milioni di euro...

Una delle parole più usate nel 2012 è stata smartcity. Intorno a questa parola, di cui poco si conosceva prima dell’avvento del governo Monti, si sono sviluppati progetti, investiti milioni di euro, scritti fiumi di inchiostro.

Il tema di per sé si presta ad essere affascinante, dietro una parola così intrigante ognuno ci può mettere di tutto, alcuni amministratori ci hanno messo perfino strade senza buche.

La parola nasce intorno all’idea di “città intelligente”, a questo proposito wikipedia ci offre questa definizione: “L’espressione città intelligente (dall’inglese smart city) indica, in senso lato, un ambiente urbano in grado di agire attivamente per migliorare la qualità della vita dei propri cittadini. La città intelligente riesce a conciliare e soddisfare le esigenze dei cittadini, delle imprese e delle istituzioni, grazie anche all’impiego diffuso e innovativo delle TIC, in particolare nei campi della comunicazione, della mobilità, dell’ambiente e dell’efficienza energetica.”

Bene è una ottima cosa da riportare anche da noi, chi non vorrebbe una città più intelligente? Per chi, come me, è innamorato di tecnologia e ha visto nascere l’informatica moderna dal 1980 fino ad oggi ed è appassionato di elettronica è come mandare un goloso a prendere i dolci per tutti.

Il problema invece si pone in termini diversi per una politica europea e italiana che sull’innovazione insegue iniziative futuribili senza curare i fondamentali del vivere sociale.

Le domande che mi ritornano in mente ogni volta sono queste: cosa se ne fa una giovane madre precaria di un potente sistema di infomobilità che riduca i tempi di spostamento tra un quartiere e l’altro della città se suo figlio non ha un posto nell’asilo nido? cosa se ne fa una famiglia di migliaia di sensori sparsi per rilevare il traffico se tra assicurazione e bollo diventa difficile permettersi un’auto?

Un recente articolo sul guardian mette in evidenza che i progetti fordisti di città ordinate ed efficienti secondo una idea ingegneristica sono falliti. Nel migliore dei casi hanno creato città alienanti e disumane.

I progetti di smartcity sono costruiti intorno alle grandi metropoli, i dati dicono che a livello internazionale la popolazione si sposta intorno ad enormi agglomerati urbani. In Italia si sono riportati modelli di città presi da questi casi anche se leggendo i dati del censimento ISTAT ci si accorge che l’Italia è in controtendenza. Da noi le città rimangono piccole, la distribuzione della popolazione sul territorio è quantomai omogenea. Le 45 più grandi città italiane hanno più di 100.000 abitanti, solo 2 di queste superano il milione. La più grande città italiana, Roma, ha 2,7 milioni di abitanti mentre Parigi ne ha da sola 12 milioni. Su 8.000 comuni italiani solo 45 hanno sopra 100.000 abitanti. Guardando questi numeri dovremmo lanciare il modello smartvillage. Basterebbe leggere qualche dato per circoscrivere alcune mode.

Forse è necessario ripensare questi progetti sull’innovazione e ragionare di più su cosa significa la città, ripensare l’urbanizzazione e anche la natura diversa delle nostre città rispetto a ciò che c’è nel resto del mondo.

Smartcity si presta al recupero del modello olivettiano di città, nel quale al centro c’è la persona con le sue esigenze che vanno dal welfare al diritto di vivere in un luogo bello.

Sarebbe necessario affrontare invece il tema del welfare, vera emergenza cittadina, come elemento cruciale del vivere urbano. E’ intorno alla coesione sociale che nascono le nostre città, nate nell’età comunale come luogo nel quale la popolazione trova rifugio e organizza la propria vita per uscire dal feudalesimo. Le nostre città hanno quasi tutte fondamenta in confraternite, contrade, corporazioni, luoghi di organizzazione collettiva della vita dei cittadini, strumenti di mutua cooperazione per vivere meglio. Oggi diremmo welfare. E’ proprio questo il patrimonio da recuperare, le nostre smartcity sono costruite intorno al welfare e intorno alle comunità di persone.

E ancora oggi i comuni hanno tra i loro principali compiti le politiche sociali per la scuola, l’infanzia, gli anziani, ecc.

Un welfare sempre più saccheggiato dai tagli di bilancio lineari, da politiche draconiane (nonché inutili) di riduzione di bilancio.

Più che progetti di smartcity servono progetti di e-welfare. Investimenti e progetti volti a costruire un sistema di welfare che risponde meglio ai bisogni del XXI secolo utilizzando a pieno l’innovazione. Da un sistema di trasporto pubblico in grado di conciliare il bisogno di muoversi in tutti gli orari e veloci riducendo i costi e l’inquinamento dei trasporti collettivi, una scuola in grado di superare gli orari ridotti per venire incontro ai genitori che lavorano, una PA informatizzata, una politica dell’infanzia meno costosa e più “customizzata” utilizzando innovazione e informatizzazione, una sanità digitale che riduca i costi di organizzazione e migliori il servizio, ecc.

Su un grande progetto di e-welfare si aprirebbero, tra l’altro, enormi spazi di sviluppo industriale. tutto il mondo ha il problema di una riformulazione del welfare o di una riduzione. Trovare un modo per proporre un welfare più tagliato sulle esigenze del nuovo secolo significa anche poter vendere servizi e prodotti in altri paesi, acquisire una leadership industriale su questi servizi di welfare.

In questo caso innovazione e politiche sociali farebbero anche da stimolo allo sviluppo, la domanda pubblica stimolerebbe il mercato a costruire una nuova generazione di prodotti-servizi da poter vendere ed esportare. Questo è il giusto approccio all’innovazione. E’ un modo per non trasformare la nostra pubblica amministrazione come un grande cliente di tecnologie prodotte all’estero ma un soggetto che assume la leadership delle politiche industriali su alcuni settori chiave. Si invertirebbe l’abitudine troppo diffusa in questi ultimi venti anni di seguire mode e regole imposte da altri, quando parliamo di smartcity nessuno dice mai che la leadership mondiale è di IBM e SIEMENS.

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