C’è qualcosa che non va. Un amico parla perfino di «guerra civile nascosta». Perché a Madrid non sono solo le statistiche sulla disoccupazione a preoccupare. Ci sono i diritti civili in mezzo. A volte malmenati, a volte sottoposti a interrogatorio.
Sei milioni di persone a spasso marciano per l’educazione fatta a brandelli, la sanità pubblica a rischio, gli sfratti amari. Il panorama spagnolo non può essere più cupo. E molti vivono ormai alla giornata.
Sono persone come la baby sitter di Madrid a 400 euro, il cuoco di Barcellona che lavora 14 ore, la guardia giurata che non riceve lo stipendio da sei mesi, la disoccupata valenciana costretta a pagare 50 euro per lasciare un curriculum, l’eterno stagista. E una sfilza di disoccupati in fila all’ufficio di collocamento.
Ma c’è un’altra faccia della medaglia, quella che è nata col movimento degli indignados. A Madrid non si subisce la recessione chiusi nella propria preoccupazione quotidiana. Si lotta. Si scende in piazza da mesi tutti i giorni, ci si organizza in collettivi, si difendono coi denti i diritti, si sorride anche.
Come in questo video: un flash mob organizzato da una radio della capitale per riportare speranza ai disoccupati iberici.
Nonostante gli 800 mila posti di lavoro persi. La diminuzione dei salari di uno 0,6 per cento, l’addio alla tredicesima e un deficit del 7 per cento.
Non è solo una questione di cifre che da Eurostat all’Istituto di statistica spagnolo rimbalzano come sfere impazzite. È questione di cambiamento. Di tornare a bussare al vicino di casa. Di parlare con chi non conosci. Di informarsi e capire. Perchè solo così «arriva il sole». Forse il mio amico ha proprio ragione.