Difficile dare consigli a Bersani. Non so se li ascolti, so che finora, non ascoltandoli, ha vinto tutto ciò che doveva vincere: le primarie e la collocazione del Pd come partito principale. Farà, quindi, come crede. Tuttavia qualcosa sta cambiando in questa campagna elettorale. Il Pd è il partito da battere per la destra, per il centro e per la sinistra. Tutti contro uno.
Buona parte degli strali che lo investono, colpiscono in primo luogo il suo alleato principale, cioè Sel. Vendola viene additato dai centristi come il piombo nelle ali del segretario del Pd e vie ne insultato come il “traditore” da quella ammucchiata giustizialista estremista che ha raccolto attorno a sé il magistrato più politicizzato d’Italia.
La vicenda del Monte dei Paschi di Siena, con grande arbitrarietà, viene poi piegata a una polemica sui cosiddetti “feudi rossi”. Basta leggere i giornali di destra di oggi. I prossimi trenta giorni saranno quindi di fuoco. Bersani non è all’angolo ma cercheranno di mettercelo. La prima tentazione del segretario del Pd potrebbe essere quella di alzare i toni. Come dire, a brigante, brigante e mezzo. Tuttavia l’esasperazione dello scontro giova ai suoi avversari, i berlusconiani, gli antiberlusconiani, i centristi. La carta principale resta quella del profilo di governo e della forza tranquilla.
Forse tuttavia è necessaria un po’ più di cattiveria. I centristi non godono di buona salute. Malgrado i suoi sforzi, Monti non appare in grado di presentarsi come il salvatore della patria e sta sprecando in poche settimane il credito che aveva ottenuto in tredici mesi di governo. Berlusconi è quello che è, il suo handicap non sono i suoi processi ma i suoi fallimenti. La coalizione di Ingroia è composta da partiti marginali che hanno affossato Prodi, da quel Di Pietro che una inchiesta di “Report” ha abbattuto, e dall’immagine di un pm che parla come un vecchio politicante non aiutando soprattutto i suoi bravi colleghi che si adoperano per amministrare la giustizia.
La controffensiva bersaniana può contare quindi sullo scarso appeal del professore, sull’inaffidabilità della destra, sulla povertà politica del concorrente più a sinistra. Può non bastare. La mossa del cavallo può essere un breve decalogo delle cose da fare. Bersani ne sta snocciolando alcune, ad esempio sull’Imu. Dovrebbe concentrare il suo messaggio per imporle all’attenzione dell’elettorato senza farsi trascinare, come non sta facendo, nella rissa. Dovrebbe poi, lo scriviamo da tempo, mostrare con chiarezza il profilo di un governo nuovo, con nomi forti e credibili.
Quest’ultimo aspetto va valorizzato. In sostanza bisogna scommettere sulla volontà degli italiani di farsi governare e di farsi governare bene. Se non passa l’idea che l’Italia sia governabile e non sia, viceversa, un paese impossibile per il combinato disposto di prepotenze corporative e nanismo politico, la partita si potrà fare molto seria. In fondo chi si contrappone a Bersani non ha molte frecce nella pars costruens. E per quella destruens Grillo basta e avanza.
Ho l’impressione che in questa campagna elettorale manchi un po’ il gioco di squadra, manca lo schema poliziotto buono-poliziotto cattivo che può distinguere il lavoro di polemica, affidata ad alcuni, con la serenità del messaggio del leader. Vedremo che cosa porterà l’ingresso di Renzi nella partita. Il suo coinvolgimento avrà soprattutto la possibilità di mostrare un Pd plurale, compattamente teso a mostrare il suo volto di governo. Manca chi sappia e possa restituire i colpi che il populismo e il massimalismo cercheranno, e già cercano, di portare. In fondo il segreto e la novità di questa campagna elettorale è che il Pd, a differenza di tutti gli altri partiti che lo hanno preceduto, non ha paura di avere nemici a sinistra.
Il fronte massimalista ha perso molti pezzi, dai professori di “Alba”, Bevilacqua, Gallino, Ginsborg, ai movimenti di base siciliani. Forse conviene discutere con loro, alzando un muro verso Ingroia, Di Pietro e lo stesso De Magistris. Visti assieme fanno impressione.