Da più parti si auspica che la prossima sia una “legislatura costituente”. In molti vedono ormai la fine della “seconda Repubblica” e brindano alla nascita della terza.
Ma esattamente cosa c’è dietro tali formule? Cosa significa l’espressione “legislatura costituente”? Perché si dovrebbe parlare di una “terza Repubblica”?
Costituente in Italia fu l’Assemblea che il 22 dicembre 1947 approvò la Carta repubblicana ancora oggi in vigore. Si dice che tale organo fosse assolutamente libero nelle scelte fondamentali sull’organizzazione dello Stato, fatta eccezione per la preferenza popolare espressa nel referendum del 2 giugno 1946 per la forma repubblicana.
Se per “legislatura costituente” si intende un’attività normativa svincolata dai principi fondamentali di democrazia, libertà, eguaglianza, ecc., riconosciuti dalla Costituzione, si auspica evidentemente un colpo di stato (che – come la storia ci insegna – può avere luogo anche in forme non violente, pacifiche).
Diversamente, se si allude alla necessità di riforme che riguardino anche il livello costituzionale (fatto salvo il “nucleo duro” dei principi supremi), non si dice nulla di nuovo o di particolarmente significativo. Di riforme costituzionali, più o meno fortunate, ne abbiamo avute e ne avremo ancora. Semmai sarebbe interessante capire in che direzione andranno le prossime, al di là delle etichette che si utilizzino (destra o sinistra, conservatorismo o progressismo, ecc.).
Quanto all’espressione “terza Repubblica”, mi limito, invece, a riportare le illuminanti parole scritte nel 1994 da Temistocle Martines sulla formula “seconda Repubblica”, riflessioni che ben si adattano anche all’ultima numerazione usata da politici e commentatori:
Con tali espressioni si indicano, nel linguaggio corrente, la Repubblica così com’era venuta ad ordinarsi negli anni trascorsi (prima) e la Repubblica come dovrebbe ordinarsi (o come, secondo alcuni, è già ordinata) dopo il referendum sulla legge elettorale del Senato ed il conseguente mutamento della classe politica al potere in seguito alle elezioni del 1994 (seconda).
La seconda Repubblica si dovrebbe distinguere (o si distinguerebbe già) dalla prima perché tende ad eliminare i gravi difetti della prima, dalla instabilità politica al consociativismo, dalla corruzione alla partitocrazia ed allo statalismo, ed a stabilire nuove regole politiche e giuridiche per un efficiente governo dello Stato […].
Non sta a noi, almeno in questa sede, valutare se il passaggio dalla prima alla seconda Repubblica sia effettivamente avvenuto, se la catarsi è in corso o se c’è già stata. Ci limitiamo pertanto ad osservare che parlare oggi di seconda Repubblica è, sotto il profilo giuridico, errato, perché, sino a quando non si procederà ad incisive modifiche della Costituzione vigente o, ancor di più, ad approvare una nuova Costituzione, non si può (come l’esperienza francese ampiamente dimostra) assegnare un numero ordinale al termine Repubblica. Non siamo insomma, sino adesso, né nella prima né nella seconda Repubblica; siamo nella Repubblica voluta dal popolo con il referendum istituzionale del 1946, il cui ordinamento è disciplinato dalla Costituzione del 1947.
(A futura memoria, in T. Martines, Opere, III, Ordinamento della Repubblica, Giuffrè, Milano 2000, 290).