L’informatica migranteLo Stato Fragile. Sottotitolo: quei 5.000 genitori inconsapevoli hacker

Ci avrei scommesso: partono le iscrizioni online per le scuole e il portale dedicato allo scopo non riesce a rispondere a tutte le richieste. Nel momento in cui scrivo risponde molto, molto lentame...

Ci avrei scommesso: partono le iscrizioni online per le scuole e il portale dedicato allo scopo non riesce a rispondere a tutte le richieste. Nel momento in cui scrivo risponde molto, molto lentamente e non ho dubbi a credere che quanto riportato da Repubblica.it, ossia una momentanea impossibilità d’accedere al portale, si sia verificato in mattinata.

Succede sempre.

Ogni volta che lo Stato Italiano si pone l’obiettivo di mostrarsi più vicino ai cittadini e più moderno, proponendo “soluzioni digitali” alla burocrazia, ecco che non riesce a fare a meno di mostrare al pubblico tutta la sua fragilità.

E’ successo nel 2007 in occasione del Decreto flussi per la regolarizzazione dei lavoratori migranti, è successo nel 2012 nel corso degli esami di maturità, è successo oggi. Per non parlare di coloro che in rete raccontano di aver avuto problemi di portali inaccessibili facendo la domanda durante le giornate per gli incentivi per le biciclette o per il rinnovo della licenza di pesca.

E non occorre scomodare Anonymous o chi per esso: no, non è “colpa” di malvagi ostacolatori dell’ordine pubblico.
Nonostante negli anni non siano mancati i casi che avrebbero dovuto educare alla consapevolezza della “delicatezza” dei sistemi informativi del Paese, mi sembra che non sia cambiato niente.

Se basta davvero un gruppuscolo di genitori in ansia (5.000 iscrizioni in una mattinata non mi sembra avrebbero dovuto essere sufficienti a conquistarsi l’effetto di un attacco informatico) per le iscrizioni dei figli o qualche docente in fase di trasmissione degli esami di Stato a bloccare il server (o la banda) predisposto ad hoc dal Ministero dell’Istruzione, ecco, c’è qualcosa che non va.

Una cosa che ho scoperto lavorando a Roma è che l’infinita rete degli appalti e dei subappalti scambia denari sulla pelle dei servizi e non esclude quelle che ormai dovrebbero essere infrastrutture di interesse nazionale, quelle attorno alle quali si vanno scrivendo Agende Digitali e proclami all’Innovazione.
Ma di questo aspetto, di cui la messa a disposizione di piattaforme e sistemi puntualmente insufficienti è solo la punta dell’iceberg, non si parla mai.

Eppure in un Paese dove la vox populi periodicamente invoca il voto elettronico, pur contando un livello di analfabetismo informatico tra i più gravi d’Europa, l’analisi del gruviera che descrive la situazione di partenza dovrebbe essere il nodo da cui partire nel chiamare in causa la sburocratizzazione dei processi.

Non è bello percepire ogni volta il sentore di avere a che fare con uno Stato Fragile che ha la sua parte più vulnerabile dentro alle pieghe più sconosciute alla gente.
Certo, la sicurezza totale in informatica non esiste. Ma servire su un piatto d’argento il proprio costante arrancare non rende certo un buon servizio alla stessa.

Perché oltre alle vulnerabilità informatiche, oltre all’inevitabile debolezza di una rete che non da l’impressione di essere particolarmente curata (malfunzionamenti nei portali dei ministeri sono cosa abbastanza normali e cercarne le possibili violazioni sport di molti) esistono quelle “vulnerabilità sociali” che non richiedono grandi geni della tastiera.
Non occorre scomodare Anonymous e i suoi vari e facili attacchi ai portali più o meno istituzionali del Paese per dire che forse qualche attenzione sul tema in questa nostra Italia manca.
E non occorre scomodare i ritardi e le lacune rispetto alle competenze presenti nel nostro Paese per dire che forse gli interessi privati rallentano e incatenano quello che dovrebbe essere un lavoro che procede in maniera un po’ più urgente.

Fino a qualche mese fa ridacchiavo tra i baffi circa la scarsa attenzione dell’opinione pubblica ai siti irraggiungibili dei Ministeri e all’alta attenzione per i down di qualsiasi altro portale italiano.
Ma oggi, a pensarci bene, non è solo una questione d’immagine. C’è qualcosina di più. E forse sarebbe ora di fare qualcosa. Tipo un ente che raccoglie le tante brave teste che abbiamo in Italia, le paga, ricerca e fa si che compilare un modulo online non diventi l’occasione di giocare al lotto la fortuna di esserci riusciti.

P.S.: Se mi posso permettere, per il bene dello Stato, della PA, delle Imprese, in quel fare qualcosa inserirei la consapevolezza diffusa che non pagare adeguatamente i propri tecnici informatici (e non 600 euro al mese con contratti a progetto come taluni fanno) è partecipare al proprio suicidio, che finanziare società di consulenza (appaltando alle stesse magari la gestione dei dati di interesse nazionale…) che non investono in formazione e certificazione dei propri dipendenti è lievemente rischioso, che forse ecco, in questo campo magari prendere esempio dagli errori e dai passi fatti da altri paesi, magari non è un’idea di sviluppo tanto sbagliata.

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