La stoccataMafia: omertà, quasi totale, da parte dei candidati premier

La complessiva sottovalutazione del problema della mafia è trasversale a tutte le liste politiche. Ciò tratteggia un quadro paradossale e inquietante: la prima industria in Italia, la Mafia Spa, no...

La complessiva sottovalutazione del problema della mafia è trasversale a tutte le liste politiche. Ciò tratteggia un quadro paradossale e inquietante: la prima industria in Italia, la Mafia Spa, non è un argomento forte delle varie “agende” dei candidati premier italiani.
Molti con le liste “pulite” hanno dato una spolveratina alla loro coscienza opaca, ma quasi nessuno ha inteso come prioritaria la lotta alla criminalità organizzata. In bocca a Monti non ho mai sentito parole sulla mafia, sulla camorra, sulla ‘ndrangheta. Idem per Berlusconi e company, mentre Bersani, candidando Grasso, ed escludendo uno come Crisafulli, che in Sicilia ha sempre portato una barcata di voti al Pd senza che nessuno del partito muovesse un’obiezione, ha fatto un’operazione buona per il marketing, meno per la sostanza.
La sostanza è quella di una nazione, da nord a sud, ingabbiata dalla criminalità organizzata. Il traffico della droga, di armi, il gioco d’azzardo, i grandi investimenti, le opere pubbliche, lo sversamento dei rifiuti sono tutti, saldamente, nelle mani della mafia.
Un governo incapace di prendere di petto il problema, sin dalla campagna elettorale, si presume che non molto farà, se non le solite dichiarazioni di facciata, nel contrasto alle organizzazioni criminali. Perché quando lo Stato ha deciso di alzare la testa i risultati sono stati tangibili. Probabilmente l’aver vissuto, seppur indirettamente, storie di mafia ha sviluppato un forte senso critico nei confronti della politica.
Non si tratta del solito vittimismo meridionalista. Il problema ha radici da noi, nelle regioni del Sud, inutile negarlo. Ma è un problema di caratura nazionale: oggi ci sono i figli dei boss che hanno studiato nelle migliori università settentrionali e sono diventati colletti bianchi in grado di riciclare e spostare milioni e milioni di euro senza lasciar traccia.
Ho conosciuto la mafia che spara e uccide senza pietà. Il 2 gennaio del 1999 avevo 13 anni ed ero in giro con i miei amici ad accendere petardi e godermi ancora il residuo di vacanze. A Vittoria, in provincia di Ragusa, non c’è mai tantissimo freddo. Avevamo circa 10 gradi, ma il gelo che mi si formò nel sangue quel giorno è una sensazione che difficilmente dimenticherò. Ad un tratto un serpentone impazzito di volanti della polizia, ambulanze e carabinieri invase la città. La gente era frastornata e noi smettemmo di accendere petardi. Chiamai a casa (allora c’erano le cabine della Sip) e mia madre mi ordinò perentoriamente di ritornare a casa.
Quel 2 gennaio 1999 a Vittoria ci fu una strage di mafia: 5 persone all’interno di un bar vennero investite da una pioggia di piombo. Non ebbero scampo. Era una faida tra gli esponenti di Cosa Nostra e quelli della Stidda. Questi ultimi avevano, secondo i rivali, “alzato troppo la cresta” e andavano eliminati. Persero la vita tre affiliati alla Stidda ma anche due ragazzi che non c’entravano nulla: erano semplici avventori del bar. Per la strage di San Basilio, così venne ribattezzata, sono stati celebrati già due processi, conclusi con condanne all’ergastolo per esecutori e mandanti.
Ricordo l’attenzione mediatica nazionale su Vittoria in quei giorni. Ricordo i camper della Rai e di Mediaset parcheggiati per settimane in piazza. Ricordo i giornalisti con accenti diversi dai nostri che cercavano di scandagliare quella realtà contadina così violenta e lontana dai riflettori nazionali. Ricordo i “non vedo, non sento, non parlo”, opportunamente messi in risalto per compiacere il delirio di stereotipi tanto caro all’Italia intera. Ricordo di un mio tema sui fatti del 2 gennaio.
Beh, più o meno scrivevo gli stessi concetti che scrivo adesso. Chiedevo ai nostri politici di agire con decisione, di dotare le forze dell’ordine di tutti i mezzi necessari, di essere rigidamente inflessibili.
Spero che tra 14 anni non mi ritroverò a dover scrivere le stesse cose.

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