Il Pd assomiglia sempre più al suo segretario. Toni bassi, luci soffuse, laboriosità emiliana. Lo scontro sulle liste non c’è stato, a parte qualche protesta, il tifo per la Concia eccetera eccetera. Qualcuno resterà fuori e se ne farà una ragione, pochi hanno abbandonato il partito o stanno per farlo, da Ichino a Ranieri, molti mugugnano, a destra come a sinistra, ma nessuno si muove. La verità è che a questo Pd bersaniano si può essere politicamente vicini ma si resta emotivamente lontani. Forse è il segreto del successo preannunciato.
Bersani, descritto come l’uomo in grigio e senza carisma, ha fatto un vero miracolo, sostanzialmente scegliendo di fare poco. A Renzi è toccata la parte del rottamatore che ha acconsentito a Bersani di sottrarsi ad antiche tutele, alle primarie dei candidati è stato affidato il compito di mettere a tacere le periferie e i giovani virgulti, al listino dei prescelti il ruolo di àncora di salvezza per i voto-repellenti e per i nomi civetta. Questa mattina su una radio romana Marcello Sorgi lamentava che nessuno di questi nomi è veramente clamoroso. Mancano i luminari della scienza alla Umberto Veronesi, ha detto. È vero. C’è un grande magistrato, Pietro Grasso, il più vivace intellettuale meridionale, Franco Cassano, ma mancano le stelle del firmamento. Non è detto che sia una disgrazia.
Il Pd si sta presentando, di fronte all’esuberanza solita di Berlusconi e alle cadute giovanilistiche di Monti, come un partito serio che sa di dover assumersi una responsabilità gigantesca. Perché questo è il punto storico per il Pd. Non può fallire. Questo che si annuncia è il terzo tentativo, come ho già ricordato in altro post, e un nuovo fallimento consegnerebbe la sinistra al macero, tutta intera. Bersani ha ragionevolmente spostato il suo partito a sinistra. I suoi giovani dirigenti hanno svolto il ruolo di traino in questa impresa che ha portato loro sulla cresta dell’onda. Il patto con Renzi dovrebbe sancire la vitalità di un ala liberal-democratica che eredita veltronismo, rutellismo, migliorismo e altro ancora.
Fuori del Pd ci sono solo due alleati. Uno piccolissimo, è il Psi di Nencini. L’altro in fase calante che è Sel di Vendola. Quest’ultimo ha conosciuto nell’ultimo anno un vero crollo nei sondaggi e anche in questa campagna elettorale dovrà fare i conti con l’insidia rappresentata da Ingroia. Credo che sia ragionevole immaginare che Vendola cercherà di caratterizzarsi creando non pochi problemi a Bersani. Ma deve pur vivere.
Messe così le cose, con lo scontro Monti-Berlusconi che accenderà i fuochi nel centro e nel centro-destra, Bersani deve decidere come gestire la sua campagna elettorale. Può continuare come ha fatto finora, cioè poco. Può sorprenderci tutti, annunciando, dopo le liste, la squadra di governo e il programma minimo. Sarebbe una grande novità e spariglierebbe il campo. È difficile che potrà emozionarci. Quel tempo è finito, per la sinistra è finito per sempre. E non è detto che sia una sciagura.