Scartabellando, con perizia certosina, tra i ponderosi e impolverati scaffali dell’Isap di Milano (Istituto nazionale di scienza dell’Amministrazione Pubblica), immenso e poco conosciuto custode di una storia politica e amministrativa che fu, si può consultare, manoscritto e ancora ben conservato, una pietra miliare del riformismo amministrativo napoleonico: il Decreto Napoleonico 6 giugno 1806.
Redatto con una semplicità ed efficacia che sconvolge noi, da tempo abituati all’arzigogolato cavillo di testi normativi disorganici e oscuri, esso disciplinava i gradi di parentela ammessi nelle Amministrazioni pubbliche, vietando la compresenza di stretti familiari (fino al 4° grado di parentela e affini, compresi quindi cognati e cugini) nelle Amministrazioni pubbliche municipali.
Sebbene il divieto si limitasse ai Municipi, ove più germinavano e si consolidavano familismi e clientelismi, fu un provvedimento d’avanguardia per l’epoca, ma non sconvolgente, perchè inserito nell’illuminato e modernissimo progetto, voluto da Napoleone, di rifondazione della cultura politica e giuridica del Regno Italico, con capitale Milano, più avanzato culturalmente e socialmente rispetto ad altre zone della penisola, ancora preda di resistenti sacche di interessi particolari.
E’ opinione comune e consolidata nel tempo, a partire dall’aforisma di Cicerone, che dalla Storia si debba partire per conoscere meglio l’oggi e il domani; per apprendere dagli errori commessi. E che le domande rivolte al passato, come ricorda Piero Aimo, siano mosse e condizionate dagli attuali nodi irrisolti.
Proprio agli insegnamenti della Storia, soprattutto di quella giuridica e amministrativa del Paese, spesso dotati di un grado di moralità ed efficacia maggiori del presente, dovrebbero guardare soprattutto i partiti politici. Alcuni dei quali ben prima degli altri.
Penso che Giuseppe Falci concorderà.
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