“La lista è vita”, diceva Oskar Schindler, che visse in tempi drammatici ma ebbe almeno il conforto di non conoscere le liste di Silvio, di Pierferdi, di Pierluigi, di Luca & Andrea (da non confondersi con gli altri comici Gigi & Andrea, che fanno assai meno ridere) e di altri loro colleghi. Ché altrimenti Schindler avrebbe specificato. C’è lista e lista.
Le liste elettorali al tempo del Porcellum sono insieme vita (di alcuni), morte (politica, beninteso, per molti), e miracoli rappresentati dal fatto che ancora qualcuno voglia andare a votare. Ma lo sanno, gli elettori, che le elezioni con il Porcellum sono una farsa? Che nove decimi dei candidati non ha alcuna possibilità di essere eletto, e che nove decimi degli eletti sono tali già prima del voto, per decisione inappellabile dei rispettivi capibanda, che gli elettori non possono modificare?
Da senatore uscente, non ricandidato, mi godo lo spettacolo di chi si affanna per entrare nelle liste da “già eletti”, e affiora il Lucrezio dagli anni del liceo («Dolce, mentre sull’infinita distesa del mare i venti sconvolgono le onde, contemplare da riva l’affanno grande di altri, non perché l’angoscia di un uomo dia gioia e sollievo, ma perché è dolce vedere da che mali tu stesso sei libero»). Tra eletti ed esclusi, salvati e sommersi, è possibile tentare una tipizzazione di qualche interesse antropologico.
Fra gli esclusi, vanno moltissimo quelli che “Sono io che me ne vado!”, con varianti (“ho scelto io di non ricandidarmi”), aggiunte (“lo avevo chiesto io, da due anni”), spiegazioni non sempre credibili (“voglio stare più vicino alla suocera”). Quando si girano per allontanarsi si nota l’impronta di un piede sul fondo dei pantaloni. Ma non sono cattivi, anzi, sono spesso i migliori – al netto dell’umana debolezza sul pas d’adieu – magari colpevoli solo di non essere stati abbastanza fedeli al capo che fa le liste, o non abbastanza vicini nelle difficoltà della vita, o in quelle del percorso di 18 buche ripetuto ogni domenica.
Poi ci sono quelli che una telefonata ti salva la vita: «Intollerabile non è l’esclusione, anzi sono contento; è il modo, potevano farmi almeno una telefonata». Traduzione: è intollerabile l’esclusione, della telefonata non me ne sarebbe fregata una ceppa, se me l’avessero fatta.
Poi ci sono gli impresentabili. Cosucce. Parenti o affini di boss della camorra, come Cosentino, per dire. Oppure presunti fiancheggiatori della mafia, come Dell’Utri, che – al netto della sua eventuale mafiosità – secondo me è impresentabile perché in questa legislatura è apparso in aula una manciata di volte, magari per votare sulle autorizzazioni a procedere contro di lui. Con una presenza del 2,9% (solo Ciampi e Monti hanno fatto peggio) ha schiacciato il famoso pulsante 187 volte su 6398, percependo più o meno 6 mila euro per ogni movimento del dito.
Poi ci sono i pendolari, passati dal Pdl al Fli e ritorno per cena, perché magari Silvio se li riprendeva come il figliol prodigo. Ma Silvio non è Dio, checché ne pensi lui medesimo, e i figlioli prodighi li ha mandati a cagare, preferendo Razzi e Scilipoti, che mollarono Di Pietro per il suo acerrimo nemico Berlusconi, che è come se zio Paperino mollasse Paperone per Rockerduck.
Siamo passati ai “candidati”, cioè ai già eletti, come appunto i Razzi Scilipoti, proiettili che possono essere riutilizzato per più lanci in direzioni diverse, facendo quasi sempre danni, purché ne abbiano una precisa convenienza economica. Come Razzi ha signorilmente argomentato, se la legislatura si fosse conclusa con la sfiducia a Berlusconi e il voto anticipato lui (Razzi) ci avrebbe rimesso il vitalizio, di tutto il resto non gliene frega un cazzo. Noblesse oblige, diceva Balzac, che pure non conosceva Razzi.
Poi ci sono gli eletti col conflitto di interessi, che abbondano proprio nella lista similcivica di Supermario Monti che ha fatto del conflitto di interessi il suo punto qualificante. Alcuni siedono anche in 20 consigli di amministrazione di grandi aziende. L’uovo di Colombo: perché continuare a mandare costosi lobbisti a incrociare nei corridoi delle Camere, quando si possono mandare direttamente i parlamentari pagati dai contribuenti? Così poi non si lamenteranno, gli elettori, che non curano gli interessi di chi ce li ha mandati.
Con Monti è già eletto anche un capolista al Senato che fa (bene) l’imprenditore-editore di una tv pressoché monopolista nella sua regione. Dice che ha fatto il blaindtràst, così Enrico Bondi può continuare a riposare in pace. Purtroppo, come Silvio ci ha ampiamente dimostrato, se un aspirante politico possiede un’emittente tv, il problema non è tanto di garantire che come politico non favorisca la sua tv, ma che la sua tv non favorisca lui.
Poi ci sono quelli che «è vero, in quella regione non ci ho mai messo piede, ma ci andrò a prendere i voti» (anche se è già eletto, curioso). Come Minzolini, che da direttore del Tg1 era così indipendente che ora fa il capolista di Silvio paracadutato nella regione di Scajola, forse a sua insaputa, o all’insaputa di Scajola, o di entrambi. Una regione che non ha mai visto prima nemmeno sul mappamondo? Poco male, ora vuole prender casa lì per meglio capire il genius loci. Già si riprende il mercato immobiliare, ancora non siede al Palamadama e già la regione ne trae i primi benefici economici.
Ma perché indignarsi? Nel parlamento dei nominati conta solo la fedeltà, specialmente se già dimostrata in passato. Un parlamento di servi e dipendenti è il naturale punto di arrivo di questo sistema elettorale. Intendiamoci: per entrare in Parlamento non è indispensabile essere incapaci. Però aiuta molto: perché se non hai un mestiere tuo, e sei costretto a vivere di elemosine dei partiti, sei più affidabile. Il servilismo, ove malauguratamente non fosse già una caratteristica innata del tuo carattere, sarà indotto dalla necessità di non fare arrabbiare il tuo capopartito, o capobanda, comunque l’unico datore di lavoro disposto a darti uno stipendio (con soldi non suoi, ma questo è un dettaglio). In politica, non solo l’intelligenza non ha così tante applicazioni pratiche quanto si potrebbe credere, ma soprattutto l’indipendenza di giudizio e di coscienza sono controproducenti.
Con un pericoloso salto di qualità: anche nelle precedenti applicazioni del Porcellum i parlamentari erano in massima parte nominati, ma i capi partito spesso li nominavano per giovarsi del possibile beneficio elettorale, e quindi non erano insensibili al loro personale consenso o reputazione. Oggi invece si moltiplicano gli amici personali del leader, i compagni di merende, i sedicenti imprenditori o figli di papà che – talora per noia, per capriccio, o perché la loro azienda sta andando in rovina – vogliono soprattutto togliersi lo sfizio di fare un giro in parlamento.
Nel suo “Saggio sulla lucidità” José Saramago immaginava una rivolta popolare costituita da un’astensione quasi totale dal voto, il che innescava una crisi irreversibile del regime. Pensare che qualcuno di questi candidati abbia letto Saramago è, mi rendo conto, un’ingenuità. Speriamo almeno negli elettori.